Diocesi: Torino, parrocchia espone cartello “Qui abita un ebreo, Gesù”. Mons. Nosiglia (arcivescovo), “abbandonare la palude di chi fomenta odio e intolleranza”

“Juden Hier. Qui abita un ebreo, Gesù”. È il cartello che don Ruggero Marini, parroco di San Giacomo a la Loggia (Torino), ha affisso questa mattina al portone della sua chiesa. Un gesto che vuole essere una risposta ad altri cartelli affissi alle porte di abitazioni di famiglie ebree a Mondovì e a Torino nei giorni scorsi. Anche l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha diffuso una dichiarazione per stigmatizzare gli atteggiamenti antisemiti.
“Affermare che la chiesa è la casa di Gesù ebreo – dice il parroco – significa trasformare il dolore in un evento sacramentale. Ed è dire la verità, che forse oggi molti, troppi dimenticano”. Il cartello è il secondo affisso alla porta della chiesa: un primo cartello è stato strappato nella notte fra martedì e mercoledì. “Una bravata”, dice il parroco che aggiunge: “Le persone che passano si fermano, leggono e alcune mi cercano per darmi una sorta di testimonianza positiva. Era quello che mi premeva di più: scuotere le coscienze”. Il messaggio di don Marini ha comunque colpito positivamente. Le maestre della zona “sono già venute a dirmi che riprenderanno il tema in classe – spiega -. È quello che occorre fare, perché non basta ricordarsi di certe cose un giorno solo all’anno”. La scelta di don Ruggero nasce anche dall’esperienza di studio a Mondovì, “anche con Lidia Rolfi, scrittrice e partigiana deportata a Ravensbruck, che mi ha fatto capire e insegnato l’importanza della memoria. Sono i suoi insegnamenti che mi sono venuti in mente: bisogna avere il coraggio di ricordare e testimoniare apertamente”.
“Che cosa vi è di veramente grave nelle aggressioni che si stanno ripetendo nei confronti di persone o famiglie di origini ebraiche o con una storia antifascista?”, si è chiesto mons. Nosiglia nel suo messaggio. Il presule ha osservato: “È grave che non ci siano più argomenti per ‘ragionare’ con gli autori di questi gesti, con chi si fa portatore o altoparlante di queste sottoculture razziste, xenofobe, naziste. L’antisemitismo, in tutte le sue forme, ha prodotto tragedie immani che dobbiamo non solo condannare, ma fare in modo che non si ripetano più”.
Nosiglia ha aggiunto: “È grave dover prendere atto di una divisione nemmeno più strisciante che attraversa e separa le nostre case, i nostri dialoghi civici, religiosi, istituzionali. I profeti dell’Antico Testamento e il Signore Gesù Cristo nei Vangeli hanno annunciato più volte la sciagura delle famiglie divise, del popolo incapace di ritrovare unità”.
Da qui quindi l’indicazione dell’arcivescovo: “È il momento di fare un passo indietro: indietro verso la terraferma solida della convivenza condivisa, abbandonando la palude di chi fomenta l’odio e l’intolleranza, di chi lascia che i mass media moltiplichino all’infinito i messaggi insensati di individui, che non conoscono altro modo di sentirsi vivi se non quello della violenza, fisica o verbale non fa differenza”.
Ma non solo: “Non si tratta di discutere le impossibili ‘ragioni’ degli autori di questi gesti, ma di comprendere che proprio questi gesti, per se stessi, sono il male, annunciano il male senza fine della divisione, dell’esclusione, della violenza sociale”, ha sottolineato mons. Nosiglia, che ha concluso: “Intendo porre, come vescovo, un gesto esplicito e visibile. Andrò a incontrare il rabbino capo e il presidente della Comunità ebraica di Torino, per attestare loro, oltre alla mia personale solidarietà, l’affettuosa vicinanza della Chiesa di Torino”.

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