Nasce un bimbo down: tutto è grazia

Ho fatto molti errori, me li tengo stretti e cari per non dimenticarli: è l’unico modo per cercare di non rifarli. Di uno, però, voglio parlare. Tanti anni fa, poco dopo la specialità, di notte una donna sta per partorire; anche il marito è presente in sala parto. Una coppia non giovane con vestiti, atteggiamenti e odori che indicano, evidentemente, la bassa condizione socioeconomica.

Con fatica, finalmente, arriva l’ultima spinta, quella dove le forze sono esaurite, quella della disperazione, ancora drammatica anche dopo tanti anni di professione; penso che sia il momento nel quale la morte e la vita siano più vicine ed evidenti. L’urlo della madre, la voce concitata dell’ostetrica che dà le ultime istruzioni e lo scivolamento del piccolo dal canale del parto come evento liberatorio. I lunghi sospiri della madre segnalano il passato pericolo: la piccola morte se ne è andata. Per solito segue il pianto del neonato che si mescola alle frasi di sincero benvenuto con le quali viene accolto dall’ostetrica.
Dopo pochi secondi la voce dell’ostetrica cambia, il tono cala, si esaurisce rapidamente l’entusiasmo anche se le parole sono le solite, percepisco la sua preoccupazione, deve aver visto qualcosa perché il piccolo piange, mi da un’occhiata di richiamo e di allerta e dice alla mamma che me lo fa vedere subito; di solito lo mette sulla pancia e io aspetto.
È bastato il primo sguardo: Down.

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