Una rete che diventa famiglia, la storia di Misghana

Canale di Sicilia: fra le persone stipate su un barcone e soccorse in mare, c’è un uomo strappato al natante in avaria in stato di coma e trasferito immediatamente in elicottero da Lampedusa all’ospedale S. Giovanni di Dio di Agrigento.

Vengono fatte prime ipotesi per spiegare le sue gravissime condizioni: quella di aver respirato le esalazioni dei motori e una polmonite, ma gli esami strumentali rilevano anche le tracce di un ictus e sul suo corpo si notano molte cicatrici da percosse, soprattutto ai piedi e al capo. Rimane privo di conoscenza per circa un mese e mezzo, durante il quale alcuni volontari di gruppi e associazioni che fanno servizio in ospedale si alternano nelle visite. Nessuno, però, sa chi sia quest’uomo sulla trentina. Sarà eritreo? Sarà somalo? Sono le ipotesi più probabili. Quando finalmente si risveglia, non può comunicare e il suo corpo è rimasto fermo troppo tempo per poter ricominciare a muoversi, ci vuole una terapia riabilitativa, ma per questo è necessario un trasferimento in una clinica specializzata e senza un’identità non è possibile, il sistema sanitario non può registrare i costi a nome di nessuno.

Come fare? L’uomo non può dire chi è, non riesce a parlare e non si capisce neppure se sia in grado di comprendere ciò che gli sta succedendo. Nell’era della tecnologia e della comunicazione sembra impossibile non poter risolvere un problema simile, ci sarà pure un modo! E il modo è, appunto, comunicare, fare rete… Prima di tutto con i ragazzi etiopi ed eritrei che risiedono ad Agrigento! Tanti vivono qui da anni, li conosciamo, li frequentiamo, ci si aiuta reciprocamente in tante occasioni… sono amici.

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