Domenica 28 agosto

Sir 3,19-21.30-31; Eb 12,18-19.22-24; Lc 14,1.7-14

Farisei caparbiamente ostili nei confronti di Gesù; eppure uno di loro lo invita a pranzo, cerca un contatto amichevole e familiare. Fra i tanti maldisposti c’è un’eccezione o è un modo per studiarlo più da vicino? Di certo l’attenzione è tutta su Gesù, su quello che dice e su come si comporta. E lui insegna attraverso parabole nate da quello che accadeva sotto i suoi occhi: gente che sceglie i primi posti e che sgomita per mettersi avanti agli altri. Un atteggiamento prepotente che presto troverà umiliazione e discredito da parte del padrone di casa.

L’ospite che invita, il padrone di casa, lo sposo… tutto porta a Gesù, è lui che invita alle sue nozze con l’umanità e con la Chiesa. A questo banchetto ci si comporta in altra maniera e prima ci vuole un cambiamento e una conversione del cuore, per cui i primi sono ultimi, gli scarti diventano i prescelti, i poveri sono preferiti e i ricchi ignorati.

La gioia grande è stare a mensa col Signore ed essere calcolati nella cerchia dei suoi amici. Nel cerchio non c’è un prima e un dopo; si gode e ci si lascia amare dal Signore. Gloria e onore verranno, ma non necessariamente in questa vita. La ricompensa – certa – per i santi verrà nell’ultimo giorno, quando sarà la grande convocazione della festa di nozze con il Cristo. Da un invito a cena, pian piano il tono si sposta su un orizzonte escatologico. Conta la gloria eterna, non quella bugiarda e precaria di questa vita abbreviata a nulla.

La parabola dell’ultimo posto e quella dell’invito rivolto ai poveri e agli storpi non sono solo scuola di umiltà e carità, ma aprono a qualcosa di più grande e splendente. Dicono che Dio è tutto perché, in Gesù, è Lui a mettersi all’ultimo posto. È il canto dell’inno ai Filippesi: “Cristo, pur essendo di natura divina… spogliò se stesso… fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi… e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore”.

San Clemente Maria Hofbauer andava a fare la questua per i suoi orfani e, passando a chiedere in una locanda, uno degli avventori gli sputò in faccia; “questo era per me ed era giusto” – gli disse san Clemente – “ora però, ti prego, dammi qualcosa per i miei orfani”. L’uomo fu talmente colpito dall’umiltà del santo che cambiò vita.

A Madre Teresa di Calcutta un giornalista domandò che cosa secondo lei non andava bene nel mondo; rispose: “Quello che non funziona, signore, siamo lei ed io”.