Timor Est. Suor Alma racconta l'attesa per Francesco: "Ci sarà simbolicamente l’assalto al Papa, ma la fede qui resta molto acerba" Timor Est, ex colonia portoghese ed ex territorio occupato dall’Indonesia, a metà tra Asia e Oceania, attende con trepidazione il Papa. Da Vanimo, in Papua Nuova Guinea, lunedì mattina il Pontefice arriverà a Dili, la capitale timorese dove incontrerà per primi i giovani allo stadio Sir John Guise. “Tutti i fedeli sperano di toccarlo, di vederlo, di chiedere una benedizione. Ci sarà simbolicamente l’assalto al Papa!”, è la premessa di suor Alma Castagna, salesiana, medico da 32 anni in missione nell’isola del Pacifico. “Eppure questa visita apostolica sarà molto diversa dalla precedente: l’ultimo viaggio di un Papa a Timor Est risale al 1989 e il Pontefice era Giovanni Paolo II”. A quei tempi il Paese era ancora occupato militarmente dall’Indonesia, si era nel pieno desiderio di autodeterminarsi, “c’era una forte aspettativa politica, un’attesa di chiari messaggi da parte del Pontefice  spiega la salesiana –. Cosa che oggi per fortuna non c’è. Siamo un Paese libero, da Papa Francesco ci aspettiamo di essere riconfermati nella nostra fede”. La Repubblica Democratica di Timor Leste (metà orientale dell’isola di Timor) è guidata dal presidente José Ramos-Horta, rieletto per l’ennesima volta nel 2022; per oltre il 90% è cattolica, con un 2% di protestanti e un restante 0,7% di musulmani. Ma la sua fede cattolica è molto acerba, ci spiega suor Alma: “Si conoscono poco le basi del cattolicesimo. In vista dell’arrivo di Bergoglio c’è stata una capillare preparazione in ogni diocesi e in ogni parrocchia”. Racconta che una équipe appositamente preparata ha tenuto degli incontri “sulla vita di Papa Francesco in lingua locale, sul primato di Pietro, oltre che catechesi create ad hoc per spiegare concetti di base e parlare delle principali encicliche di Francesco, dalla Fratelli Tutti alla Laudato Si’, e dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia”. Lo slogan di questi incontri è “che la vostra fede diventi la vostra cultura”. Per moltissime persone la cultura tradizionale e quella animista continuano a prevalere sul cristianesimo acquisito. “Quando sono arrivata a Timor Est nel lontano 1992 questo era un Paese occupato militarmente dall’esercito indonesiano, per la maggior parte di religione islamica: in 150 km di strada potevi incontrare anche 17 posti di blocco con i relativi controlli di polizia. Tuttavia, già in quegli anni la tensione si stava un po’ allentando”. Nel 1996 arriva il Premio Nobel per la pace a José Ramos-Horta che guiderà poi il Paese; nel 1999 il referendum che sancirà l’indipendenza dall’Indonesia. “Oggi c’è tanta disoccupazione giovanile, si vive essenzialmente dei ricavi di gas e petrolio, ma i giacimenti sono oramai in esaurimento e l’isola resta fortemente dipendente dagli idrocarburi. Quando finirà il petrolio vedremo cosa faremo!”, dice suor Alma. I neolaureati lasciano l’isola, “loro sognano l’estero! Non abbiamo molte alternative qui”, spiega. Appena possono, aiutati dagli accordi stipulati dal presidente con Australia, Portogallo, Irlanda e anche Corea, i ragazzi emigrano e cercano lavoro nei Paesi “amici”. Il confine australiano è molto vicino e si punta a far fortuna in Occidente. “Il loro è il sogno dei colletti bianchi, si vogliono laureare, ci sono moltissimi laureati, che però non restano in patria”. Questo viaggio apostolico sarà un’occasione per rafforzare il legame tra la Chiesa di Roma e quella locale, per ravvivare l’entusiasmo giovanile e per creare ponti. (*) redazione "Popoli e Missione"Ilaria De Bonis (*)