Venezia81. “Joker: Folie à deux”, “The Quiet Son” e l’italiano “Diva futura” Ottavo giorno di Concorso a Venezia81. Occhi puntati su “Joker: Folie à deux”, l’attesissimo ritorno del regista statunitense Todd Phillips, Leone d’oro nel 2019 con lo spiazzante e innovativo “Joker”, forte anche della performance di Joaquin Phoenix. A distanza di cinque anni il direttore artistico del Festival Alberto Barbera invita il regista nuovamente in gara con il seguito del film, che però si rinnova nel taglio narrativo, aprendo a inserti onirici in chiave musical, e mettendo a fianco di Phoenix la cantante-attrice Lady Gaga. “Joker: Folie à deux” si conferma una bella sorpresa, per qualità di regia e narrazione, per una ricercata e livida messa in scena, ma soprattutto per una prova attoriale magnifica. Ancora, in cartellone il francese “The Quiet Son” (“Jouer avec le feu”) firmato dalle sorelle Delphine e Muriel Coulin, film che esplora un tema di stringente attualità: lo scivolamento nelle pieghe del male di un figlio, attratto dalle sirene illusorie di forze estremiste neonaziste. L’opera segue gli sforzi di un padre che non si dà pace per tale deragliamento. Protagonista un sempre ottimo Vincent Lindon. Infine, il quarto italiano in Concorso è “Diva Futura” di Giulia Louise Steigerwalt, che indaga la diffusione della pornografia audiovisiva nell’Italia degli anni ’80-’90 legata all’attività produttiva di Riccardo Schicchi. Uno sguardo in chiaro scuro sul settore a luci rosse e sul Paese, tra ironia e amarezza. Con Pietro Castellitto e Barbara Ronchi. Il punto dalla Mostra “Joker: Folie à deux” “Chi è Arthur Fleck? E da dove viene la sua musica interiore?”. Sono gli interrogativi da cui è partito Todd Phillips nel tratteggiare il suo sequel di “Joker”, folgorante film del 2019 che gli è valso il Leone d’oro alla Mostra del Cinema e un Oscar per l’interprete Joaquin Phoenix. Dopo cinque anni, Phillips con il co-sceneggiatore Scott Silver individua la chiave giusta per tornare a raccontare l’esistenza tragica e umiliata dell’aspirante comico Arthur Fleck, che non trovando possibilità di riscatto nella vita si era abbandonato alla violenza. Aveva indossato la maschera di Joker. Questo nuovo film, “Joker: Folie à deux”, ci porta ad approfondire la genesi del male nell’uomo e nella società, aprendo anche a momenti di evasione onirica in chiave musicale, con omaggi a Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald. La storia. Gotham City. Il noto clown violento Joker, ovvero Arthur Fleck, è agli arresti in una struttura per disagi mentali. Sta per essere processato con l’accusa di omicidio. Indifferente e distaccato, Arthur riscopre entusiasmo nella vita grazie all’incontro con la ribelle Lee, ricoverata nella stessa struttura. Tra i due sboccia una passione, un amore, che irradia l’orizzonte dell’uomo di colori e musiche avvolgenti, che vivono come performance musicali nelle sue stanze interiori. Arthur però deve capire se rinunciare o meno alla maschera di Joker, se essere se stesso oppure l’“icona” ribelle che la società acclama contro i poteri forti… Ancora una volta Todd Phillips fa centro. Il suo “Joker: Folie à deux” sa mettersi al seguito del primo, riuscito, titolo, trovando però una chiave narrativa e stilistica che lo rende differente, autonomo e assolutamente riuscito. L’autore seguita nel raccontare la parabola discendente dell’antieroe Arthur Fleck, esplorandone fratture interiori, traumi e bruciante solitudine. Dopo il primo capitolo in cui l’uomo si abbandona (pericolosamente) alla vendetta, sentendosi respinto da tutto e tutti, qui è come se chiudesse il cerchio, o meglio ritornasse al punto di partenza. Arthur si toglie la maschera del villain Joker e accetta di essere se stesso, accetta le proprie finitezze e imperfezioni, aprendo alla possibilità di pagare per i propri errori. E fa tutto ciò perché il sentimento è arrivato a bussare alla sua porta: per la prima volta Arthur sperimenta l’amore, l’essere desiderato. Prima riottosamente, poi con rassegnazione, l’uomo abbraccia il proprio destino, senza più filtri e maschere, costi quel che costi. “Joker: Folie à deux” è magnifico per regia, gestione del racconto, linea narrativa oscillante tra realtà e sogno, nonché per le trascinanti e dolenti performance musicali che il duo Phoenix-Lady Gaga fanno brillare. Due interpreti che lasciano il segno, soprattutto Phoenix, ancora una volta sbalorditivo, da Coppa Volpi ma anche da Oscar (e sarebbe il secondo). Film complesso, problematico, per dibattiti. “The Quiet Son” (“Jouer avec le feu”) Le sorelle francesi Delphine e Muriel Coulin partecipano in gara a Venezia81 con un titolo di grande forza tematica: è “The Quiet Son” (“Jouer avec le feu”), il racconto in una discesa negli inferi della disperazione per un padre, che assiste allo sbandamento del figlio ventenne dietro un fanatismo neonazista, una cultura dell’odio xenofoba e intollerante. Protagonista un sempre misurato Vincent Lindon. Nel cast anche i validi Benjamin Voisin e Stefan Crepon. La storia. Cittadina di provincia, non lontano da Parigi. Pierre è un operaio vedovo che sta crescendo due figli appena ventenni, Louis e Fus: il primo è posato e studioso, appena accettato all’Università La Sorbona, mentre Fus, il maggiore, senza lavoro, passa le giornate con un gruppo di giovani dalle idee estremiste. Pierre avverte nel figlio una crescente tensione interiore, moti di rabbia; teme che possa commettere azioni marcate da violenza…. “Continuerei a voler bene a mio figlio – si interrogano le registe – se sviluppasse idee diametralmente opposte alle mie? Siamo in grado di perdonare proprio tutto? In un clima politico in cui stanno vincendo gli estremi, queste sono le domande che ci hanno guidate nella realizzazione del film. Questa storia di famiglia, convinzioni politiche, vergogna e riconciliazione è anche la storia del nostro Paese”. “The Quiet Son” è un “piccolo” film di grande risonanza. Il tema, infatti, è circoscritto, ma attorno a esso si apre una vasta gamma di sensazioni e riflessioni sul rapporto genitori-figli, sui dualismi smarrimento-ascolto, sanzione-riconciliazione, bene-male. Un’opera che esplora i tormenti di un padre, che si sente incapace di salvare il figlio dalla vertigine del male; un padre che però non si lascia spaventare, ma tende sempre la mano con coraggiosa speranza e resilienza. Un figlio si ama sempre, anche se si spinge in territori dell’umano inaspettati, foschi. Un’opera che intercetta il male del nostro tempo, il rischio di rigurgiti di forze antisistema di matrice neonazista, che minano la stabilità sociale e democratica. Forze che seducono giovani generazioni che hanno abdicato a un percorso formativo-culturale e a un’occupazione. Un’opera acuta e necessaria, dove la regia non è mai invadente, ma si muove in sottrazione a favore della storia e della caratterizzazione dei personaggi. Consigliabile, problematico, per dibattiti. “Diva Futura” Giulia Louise Steigerwalt, vincitrice del David di Donatello come miglior regista esordiente nel 2023 con “Settembre”, a Venezia81 presenta “Diva Futura”, viaggio socio-culturale nell’Italia degli anni ’80-’90 che si scopre “abbagliata” dalla pornografia cinematografica. Il film racconta la figura del regista Riccardo Schicchi e della sua casa di produzione Diva Futura. Protagonisti Pietro Castellitto, Barbara Ronchi, Denise Capezza, Tesa Litvan e Lidija Kordić. La storia. Roma, anni ’80-’90, Riccardo Schicchi intuisce il cambiamento sociale in atto e forza la mano proponendo una cultura del porno tra spettacoli dal vivo e film, arruolando nella sua casa di produzione Diva Futura: Ilona Staller, Moana Pozzi ed Éva Henger. Le star del porno fanno breccia tra giornali e programmi Tv nelle reti Rai e Mediaset, come pure in Parlamento. A raccontare quegli anni turbinosi e amari è Debora, la segretaria di Schicchi… “Un ritratto imparziale – sottolinea la regista – il racconto della parabola tragica di un gruppo di personaggi che, se per certi versi si sono battuti per la libertà, paradossalmente hanno poi contribuito con il loro lavoro a normalizzare qualcosa che va contro la libertà della donna stessa, ovvero la mercificazione del corpo femminile”. Dopo il brillante e acuto “Settembre”, la Steigerwalt si confronta con la seconda regia alzando la posta: provare a cogliere un cambiamento socio-culturale del Paese, lo sbandamento per la pornografia audiovisiva, raccontando i suoi protagonisti. È come se volesse dare un volto e un’anima a quell’industria a luci rosse, fatta non solo di una fisicità mercificata, ma anche di persone con sogni, desideri e tante fragilità. La regista muove la macchina da presa senza avanzare giudizi, cercando di allargare il campo dello sguardo e di cogliere genesi e dimensione di un fenomeno divenuto di massa. Il racconto parte con toni pop e ironici, ma piano piano si avvita in una vertigine di amarezza e solitudine, mostrando tutte le contraddizioni e miserie di un mondo che non offre felicità o salvezza, ma solo degradazione. Una scommessa di regia e scrittura coraggiosa, per un tema non poco scivoloso. Complesso, problematico, per dibattiti.Sergio Perugini