Venezia81. Nicole Kidman con “Babygirl” e Cate Blanchett con la serie “Disclaimer” Venezia81, terzo giorno di proiezioni. Primo film in cartellone è “Babygirl” della regista olandese Halina Reijn che poggia sull’intensa interpretazione di Nicole Kidman, affiancata da Antonio Banderas e Harris Dickinson. Un dramma esistenziale a sfondo erotico che esplora insicurezze, fragilità e fantasie di una manager cinquantenne che nasconde un’infelicità sottopelle nonostante un solido matrimonio. La scintilla della provocazione inciampa però in dialoghi deboli e in soluzioni forzate. Al Lido c’è anche “Disclaimer”, serie Tv targata Apple TV+, un dramma esistenziale firmato dal regista Premio Oscar Alfonso Cuarón e interpretato da Cate Blanchett, Kevin Kline, Sacha Baron Cohen e Lesley Manville. Un viaggio nelle stanze interiori e nei tormenti di due famiglie, tra presente e passato; un racconto che si avvita in maniera claustrofobica tra irrisolti, (mezze) verità e desiderio di vendetta. La confezione formale garantita da Cuarón è ottima, la traiettoria narrativa non del tutto solida. Infine, sempre in Concorso il dramma brillante “Trois amies” di Emmanuel Mouret con Camille Cottin, una stagione di gioie, amori e sofferenze per tre amiche a Lione. Un racconto radicato nella tradizione cinematografica francese che ondeggia tra note dolenti, lampi di ironia e dolcezza. Il punto dalla Mostra. “Babygirl” Si muove tra il dramma esistenziale e il thriller dell’anima, con una tensione erotica di fondo, il film “Babygirl” della regista olandese Halina Reijn, autrice anche della sceneggiatura. Targato A24, l’opera deve molto all’interpretazione intensa e sfaccettata di Nicole Kidman, affiancata da validi comprimari come Antonio Banderas, Harris Dickinson e Sophie Wilde. Un racconto che si avvita tra dinamiche di potere, controllo e desiderio, con riflessioni su femminile e maschile nella società. La storia. Stati Uniti oggi, Romy è l’amministratrice delegata di un importante gruppo che si occupa di e-commerce e innovazione. La sua vita brilla non solo nel lavoro, ma anche nella dimensione familiare: è sposata da 17 anni con Jacob, un noto drammaturgo, e insieme hanno due figlie adolescenti. Nella vita di Romy non manca nulla. La donna però si sente insoddisfatta, con fantasie e pulsioni sessuali che non riesce a controllare. In azienda si imbatte nel tirocinante Samuel, che da subito le dimostra un chiaro interesse. Tra i due si accede un’immediata complicità che produce però ripercussioni su ogni fronte della vita di Romy… “Abbiamo tutti una piccola scatola nera – indica Halina Reijn – piena di fantasie proibite (…). Sono affascinata dalla dualità della natura umana e questo film è un tentativo di far luce, senza giudicare, sulle forze contrapposte che compongono le nostre personalità. Per me il femminismo è la libertà di studiare la vulnerabilità, l’amore, la vergogna, la rabbia e la bestia interiore di una donna”. Dalle sue note di regia la traiettoria del film “Babygirl” appare chiara e inequivocabile: un esplorare le zone d’ombra di una cinquantenne che non manca di nulla, tra realizzazione familiare e professionale, ma la condizione di potere e adrenalina costante in cui vive la spingono a cercare sempre di più. L’opera scandaglia le stanze dell’animo della protagonista che sfida se stessa e le proprie insoddisfazioni, mettendo a repentaglio ogni sua certezza. Il film e l’interpretazione della Kidman appaiono di certo coraggiosi, ma l’impianto del racconto non è adeguatamente solido e convincente. I dialoghi spesso scivolano nella banalità, al punto da smorzare il pathos del racconto, e le soluzioni che si susseguono non sempre appaiono pertinenti, ben elaborate e spesso gratuite. Qua e là si colgono intuizioni interessanti e riflessioni acute, che però risultano nell’insieme troppo slegati. “Babygirl” ha un’esecuzione abbastanza convenzionale e già vista, che toglie forza alla performance degli attori, in testa della Kidman e di Banderas. Film complesso, problematico. “Disclaimer” (serie Apple TV+) Una delle miniserie evento invitate fuori Concorso alla Mostra del Cinema è “Disclaimer”, scritta e diretta dal due volte Premio Oscar Alfonso Cuarón (“Gravity”, “Roma”), adattamento del romanzo “La vita perfetta” (Piemme) di Renée Knight. La serie vanta un cast di primo piano: Cate Blanchett, Kevin Kline, Lesley Manville, Sacha Baron Cohen, Louis Partridge, Leila George e Kodi Smit-McPhee. La storia. Londra, Catherine è una giornalista di successo. Ha costruito la sua carriera sullo smascheramento delle menzogne nella società. Ha una vita agiata, sposata da vent’anni con Robert e madre del ventenne Nicholas. Un giorno riceve per posta uno strano romanzo che sembra parlare di lei, di una scomoda verità che la riporta nel passato, a un viaggio in Toscana e a un incontro con l’enigmatico Jonathan. A tormentare Catherine è l’ex professore in pensione Stephen, rimasto solo dopo la scomparsa della moglie Nancy per malattia e la morte accidentale del figlio Jonathan… “Occhio alla narrazione e alla forma! – indica Cuarón – Il loro potere può avvicinarci alla verità, ma sono anche una forte arma di manipolazione che può renderci complici servendosi dei giudizi che formuliamo e delle nostre convinzioni più profonde”. La serie “Disclaimer” si snoda in sette episodi in cui affiorano gradualmente i tasselli che compongono la vita di Catherine, tra presente e passato, una vacanza in Toscana avvenuta più di una decina di anni prima, dove si è consumata una tragedia che non smette di produrre conseguenze. Un viaggio tra i traumi interiori dei protagonisti, strattonati da verità e menzogne, dubbi e insicurezze, ricordi imperfetti e rimossi dolorosi. Il film presenta una traiettoria apparentemente lineare, che però subisce lungo i 7 episodi contraccolpi e sviamenti, per arrivare a un colpo di scena finale che suscita sorpresa, riflessione ma anche una certa perplessità. Non tutto, infatti, della complessa e aggrovigliata trama torna in maniera coerente e logica, lasciando emergere qualche forzatura. Detto questo, regia, stile del racconto e interpretazioni sono ragguardevoli e raffinate: insieme alla vis narrativa di Cuarón, a lasciare il segno sono le performance di Blanchett, Kline e Manville. Tutti di imbarazzante bravura. Serie complessa, problematica, per dibattiti. “Trois amies” Il regista francese Emmanuel Mouret (“Les choses qu'on dit, les choses qu'on fait”, 2020) si presenta in Competizione a Venezia81 con “Trois amies”, un racconto in bilico tra commedia e dramma giocati sul binario del sentimento. Al centro tre amiche e le loro relazioni, tra amori incerti, appannati o sognati. Nel cast Camille Cottin, Sara Forestier, India Hair, Grégoire Ludig e Vincent Macaigne. La storia. Lione oggi, la vita di tre amiche, Alice, Joan e Rebecca, subisce uno scossone quando il compagno di Alice ha un incidente. Le tre si sostengono e al contempo riflettono sui propri legami, su quello che voglio per il loro domani… “Mi piacciono i personaggi che sbagliano – afferma il regista – ci riprovano e continuano a sbagliare, come Buster Keaton quando ripetutamente cade e si rialza (…). Mi piacciono i personaggi che si perdono nei loro sogni o nelle loro ossessioni e che perdono ripetutamente la strada solo per trovare un’altra direzione, e poi un’altra, e così via. Provo tenerezza per quei personaggi che vorrebbero essere migliori di quello che sono ma non ci riescono mai davvero”. Mouret compone un mosaico di sentimenti ed emozioni che si muove nei territori dell’amicizia e dell’amore. Al centro ci sono tre amiche e le rispettive relazioni di coppia, che finiscono tutte al vaglio del desiderio di autenticità e di felicità. Le loro esistenze si rimescolano, in un susseguirsi tragicomico, tra lampi di tenerezza e ironia a briglia sciolta. Una narrazione figlia della scuola francese, fatta di descrizioni, silenzi, battute acute e raffinate, ma anche di lungaggini e atmosfere sognanti. Un pamphlet sentimentale con differenti tonalità, che affascina e incuriosisce. Consigliabile, problematico-brillante, per dibattiti.Sergio Perugini