Martiri di Otranto: mons. Neri (arcivescovo), "ci insegnano che l’uomo deve sentirsi impegnato a rendere la città terrena un anticipo della Gerusalemme celeste" "I nostri ottocento martiri sono stati innamorati della propria città e sono morti anche perché l’hanno voluta difendere. Come ha insegnato Giovanni Paolo II in visita alla nostra Chiesa nel 1980, essi 'erano uomini, uomini autentici, forti, decisi, coerenti, ben radicati nella loro storia; erano uomini, che amavano intensamente la loro città; erano fortemente legati alle loro famiglie'. Il loro è stato per così dire un martirio politico, nel senso inteso da Paolo VI, allorché ha insegnato che la forma più alta di carità è la politica, cioè la cura per la propria polis, la propria città". Lo ha sottolineato, stamattina, l'arcivescovo di Otranto, mons. Francesco Neri, nell'omelia della messa per i martiri di Otranto, spiegando come siano stati "martiri perché cittadini". Oggi, ha detto il presule, "la città dei martiri sarebbe Otranto, ma anche l’Italia. Dal 1861 il nostro è un Paese giuridicamente unito, diversamente dal 1480, e infatti da un punto di vista storico il massacro fu possibile anche perché le potenze italiane erano divise e contrapposte, sebbene da questo male la Provvidenza abbia tratto il bene della santità dei martiri". Durante la recente Settimana sociale dei cattolici in Italia, il 7 luglio, ha aggiunto, "a Trieste (città – è bene ricordarlo – ritornata all’Italia solo nel 1954, in modo faticoso e cruento), Papa Francesco, rilevando una specie di stanchezza verso la democrazia, di cui è sintomo l’alto numero dei non votanti, ha stimolato a riprendere la passione civile, ad elaborare e realizzare il progetto di una società partecipata e solidale. L’Italia non si può però immaginare senza l’Europa, e qui la memoria va ai grandi padri dell’Unione europea, nel cui simbolo è stata posta una cifra mariana, la corona delle dodici stelle. E da Otranto, dobbiamo ribadire che l’Italia e l’Europa non possono stare senza il Mediterraneo, con l’impegno comune a che il Mare nostro non sia mai più teatro di conflitti e tragedie e realizzi la propria vocazione di culla di pensiero e di spiritualità, di laboratorio di arte e di scienza, di accoglienza e di pacifica convivenza". Per mons. Neri, "è bello collocare nella scia dei martiri quanti nel nostro tempo si sono impegnati per una società migliore, rimanendo vittime dei regimi, dei terrorismi, delle mafie: Pino Puglisi, Peppe Diana, Rosario Livatino, Aldo Moro, Vittorio Bachelet…". Secondo l'arcivescovo, "i martiri ci insegnano che, quanto più lo sguardo dell’uomo si innalza al cielo e all’eternità, a Dio, tanto più l’uomo deve sentirsi impegnato ad amare la terra, a rendere la città terrena un anticipo della Gerusalemme celeste, rinnovandola con l’amore che è dono dello Spirito, organizzandone le istituzioni sulle basi della fraternità e della libertà, a servizio della uguale dignità di ogni uomo e di ogni donna, incominciando dai privilegiati del Vangelo, i poveri e i sofferenti".Gigliola Alfaro