Ecospiritualità: Massimi (Associazione professori di Liturgia), "presenta tra i suoi elementi la centralità della figura del Dio creatore" “È più facile descrivere che definire l’ecospiritualità, che presenta tra i suoi elementi la centralità della figura del Dio creatore, la relazione dell’uomo con il creato e la valorizzazione della corporeità dell’uomo e del creato”. La prassi del benedire nella Chiesa è importante “per cogliere un rapporto nuovo con le realtà create dove emerge una relazione d’amore tra Creatore e creature e una prospettiva di redenzione grazie al Figlio fatto uomo e glorificato”. Lo ha detto Elena Massimi, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, presidente dell’Associazione professori di Liturgia, docente di Liturgia e sacramentaria presso la Pontificia Università Auxilium, l’Università Pontificia Salesiana e l’Istituto di Liturgia pastorale Santa Giustina, intervenendo al panel “Ecospiritualità tra bellezza e grido” durante la 60ª sessione di formazione ecumenica del Sae, al Monastero di Camaldoli. Prendendo spunto dalla Laudato si’, la relatrice ha proposto “il contributo che la liturgia offre a una corretta relazione con il creato, quindi a una delle dimensioni dell’ecospiritualità. Relazioni equilibrate con il prossimo, con il creato e con sé stessi richiedono una conversione integrale della persona che esige il riconoscimento degli errori e il pentimento”. Papa Francesco ha introdotto il concetto di “peccato ecologico” e, con l’istituzione della Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato, “ha invitato i fedeli a invocare la misericordia divina per i peccati commessi contro il mondo in cui viviamo”. Secondo la liturgista, la conversione ecologica potrebbe essere un’opportunità per riscoprire il sacramento della penitenza e la dimensione penitenziale della vita cristiana. “La conversione non è un atto puntuale ma un processo; possiamo parlare di virtù di penitenza. Una pratica come il digiuno non è finalizzata a sé stessa, ma a una presenza, a qualcos’altro. Istituisce la distanza corretta con sé stessi, con gli altri, con Dio e con il creato, scopre la dipendenza da Dio e chiama a donarsi ai fratelli”. La liturgia, ha continuato Massimi, non si colloca in logiche produttive, utilitaristiche, ma in un orizzonte di dono che si sostituisce allo scambio. Nell’Eucaristia riceviamo un grandissimo dono che non possiamo restituire a Dio, ma che ci può aprire ai fratelli e alle sorelle donandoci a loro, a nostra volta, nella libertà: “Nella materialità e corporeità della liturgia, quindi nel nostro corpo, avviene il dono di Dio in Cristo, dono che può essere accolto nel nostro corpo e donato ad altri attraverso il corpo stesso”. Citando il teologo Ghislain Lafont, la liturgista ha messo in luce il significato profondo dell’invito alla cena di Gesù: “Colui che invita rischia la propria vita offrendo una parte di ciò che ha e la sua intenzione diventa ancora più chiara: si vuole creare una relazione. E proprio l’invito mette in luce il primato del dono nella liturgia; nel dono si esprime e realizza una reciprocità libera”. La spiritualità cristiana non disprezza la materialità, anzi la assume, ha spiegato la relatrice: “Nella liturgia si prega con il corpo e attraverso gli elementi corporei. La liturgia stabilisce una relazione imprescindibile con il creato. Pensiamo al ciclo del tempo, le stagioni, i giorni, le settimane, o anche alla valorizzazione degli elementi naturali, a tutte le benedizioni presenti nel benedizionale. Tutto ciò è strettamente connesso con la valorizzazione della corporeità nella liturgia”. Le realtà naturali – l’acqua, l’olio, il fuoco, la luce, il pane e il vino – “sono assunte in un contesto rituale: le azioni del bagnare e dell’essere bagnati, dell’ungere ed essere unti, del bruciare e dell’illuminare, del mangiare e del bere che il credente celebrante compie o riceve. La natura entra nel gioco simbolico della liturgia, in particolare dei sacramenti; grazie all’agire rituale diviene simbolo, e quindi apertura al mistero. Non sono semplicemente cose sacre, ma azioni sante compiute da uomini con elementi creaturali, eppure capaci di dire l’oltre e l’altrove della fede”.Gigliola Alfaro