Cinque giorni Cinque giorni lontano dalla redazione. Cinque giorni lontano dai media, tutti, volutamente. Tornando a casa apprendo della polemica per la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, della polemica per le frasi del padre di Filippo Turetta, della polemica per la sospensione del programma di Alberto Angela… e chissà cos’altro mi sarò perso in questi cinque (5) giorni d’estate. Ciascuno di questi temi meriterebbe un editoriale, o forse no. Preferisco prima raccontarvi ciò che ho visto in questi cinque giorni trascorsi in un paesino dell’alta Val Venosta, dove l’Italia, neppur tanto sicura della propria identità, si incunea con un lembo di terra tra Austria e Svizzera, in un antichissimo incrocio di popoli, commerci, culture e tradizioni. Ho visto le rondini volare festose al tramonto tra le torri di un’antica cittadina murata, tra gli orti coltivati con amore, i fiori, i campi di segale e grano saraceno, i frutteti generosi. Svegliato dal triplice suono allarmante di una sirena, ho visto dalla mia finestra alcuni giovani vigili del fuoco volontari, tirati giù dal letto nel cuore della notte, attraversare di corsa la piazza del paese, chi in bicicletta, chi a piedi, chi in auto, per dirigersi veloci alla caserma dei pompieri e subito partire a spegnere l’incendio di un fienile più a monte. Ho visto, sulle Alpi Retiche, sgorgare dalla roccia una piccola sorgente d’acqua fresca e cristallina che incredibilmente diviene poi l’Adige, il secondo corso d’acqua d’Italia, che in genere noi salutiamo a Verona e che dalle Alpi giunge fino alle spiagge di Rosolina, mettendo così d’accordo tutti i tipi di vacanzieri. Ho visto sulla terrazza di un bar affacciato sul campanile sommerso di Curon, al Lago di Resia, alcune persone disabili gustarsi il panorama insieme ad una bibita fresca grazie alle premure pazienti dei loro accompagnatori. E il sorriso di quella donna con la sindrome di Down, nel suo vestitino a fiori dignitoso, con la sua piccola borsa a tracolla stretta al petto a custodire chissammai quali tesori, mi è rimasto dentro per la sua bellezza, irraggiungibile e sconosciuta alle modelle più ammirate o alle ricche signore in Lamborghini. Ho visto un anziano monaco benedettino con un lungo grembiule azzurro sopra la veste nera e uno sgangherato cappello di paglia sulla testa risalire dall’orto del monastero con una cesta piena di verdure, richiamato dal suono della campana all’officio divino. Ho visto un piccolo uccello di cui ignoro il nome, impertinente e curioso, saltellare sul colmo dei tetti e infilarsi con falsa non curanza in un anfratto da cui spuntavano tanti piccoli becchi gialli, clamanti affamati la pappa quotidiana. Ho visto ancora, al limitare del grande ghiacciaio, sublime e maestoso, un giovanissimo papà escursionista portare sul petto, in uno speciale zaino, il suo bimbo di pochi mesi e poi la mamma, forse ancor più giovane, allattarlo lassù, in un silenzio che prepotentemente ti rimette davanti al mistero della vita. Già la vita, di cui tutto ci parla, se solo abbiamo occhi per vederla. La vita che non si arrende, che trova comunque la sua strada, che, nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande, ti sorprende per la sua armonia e che ti parla di un Dio che, con onestà, nessuno può davvero negare. Una vita che è molto lontana dalle passerelle di Parigi, dove almeno la pioggia ha disturbato lo scempio; che è molto lontana dalla pornografia di un sistema giudiziario e mediatico che ha ritenuto di poter diffondere le parole di un padre distrutto al figlio omicida; che di certo è molto lontana da “Temptation Island”, ma a cui forse interessa poco o niente anche di Noos e di noi giornalisti, illusi di contare qualcosa. (*) direttore de “La Voce dei Berici”Alessio Graziani (*)