Basta smartphone in cartella Come al solito il provvedimento ha suscitato reazioni opposte, sia nel mondo della scuola che in quello della politica (in cui tutto diventa sempre motivo di polemica). Eppure la sensazione è che alla fine abbia prevalso, corroborato da autorevoli dati scientifici, il buon senso e che la maggior parte di genitori, insegnanti, psicologi e pedagogisti abbia in cuor proprio almeno pensato un liberante “finalmente!”. Da settembre gli smartphone non potranno più entrare nelle scuole italiane. Con circolare 11 luglio 2024 il Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha disposto “il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per gli alunni dalla scuola dell’infanzia fino alla secondaria di primo grado”. Capiamoci, non è che finora bambini e ragazzi potessero portare e utilizzare a scuola il proprio telefono senza alcun tipo di regola, limitazione o controllo. Ogni Istituto si era dato delle norme, condivise con le famiglie a inizio anno scolastico al momento della firma del patto educativo. Ma, tutto sommato, era prevalsa finora l’idea che, facendo oramai questi dispositivi talmente parte del nostro vissuto, piuttosto che vietarne l’uso, fosse meglio educare ad un loro utilizzo consapevole, sfruttandone anche le potenzialità positive a livello didattico. Pensiero bello, in parte pedagogicamente condivisibile, ma forse erede di quel “vietato vietare” di sessantottina memoria e figlio di un’antropologia oramai del tutto ignara delle persistenti conseguenze del peccato originale sull’animo degli innocenti pargoli della scuola dell’obbligo. La circolare ministeriale pare invece ora d’un tratto recuperare piena coscienza di ciò che la teologia cattolica definisce “concupiscenza” laddove, citando un recente rapporto UNESCO, asserisce: “In 14 Paesi è stato riscontrato che la semplice vicinanza a un dispositivo mobile distrae gli studenti provocando un impatto negativo sull’apprendimento”. E, certo, anche senza scomodare l’UNESCO, non era difficile immaginare che un ragazzo che ha uno smartphone acceso sotto il banco potesse essere distratto (“subire un deficit di attenzione”), perdendo interesse per ciò che si fa in classe e non interagendo più con i propri compagni. Il ministro Valditara, nella stessa circolare, cita anche altri due effetti potenzialmente negativi di un abuso delle tecnologie informatiche: l’isolamento sociale e la deresponsabilizzazione degli alunni. Il primo è un riferimento al fenomeno estremo dei cosiddetti Hikikomori, in crescita anche nel nostro Paese, rispetto ai quali la scuola pare finalmente riassumere il proprio ruolo educativo altre volte invece minimizzato. Riguardo all’esigenza di far maturare il senso di responsabilità dei ragazzi, la circolare invita infine a tornare all'uso del diario cartaceo che, rispetto al registro elettronico, aiuterebbe gli alunni a sviluppare meglio “una crescente autonomia nella gestione degli impegni scolastici”. La presa di posizione del ministro Valditara è certamente positiva (anche se purtroppo non riguarda le scuole superiori) e dovrebbe interrogarci tutti sullo spazio che concediamo a queste tecnologie, così utili, ma anche così pervasive. L’obbligo di lasciare fuori lo smartphone dalla scuola sancito per circolare ministeriale, dovrebbe spingere ciascuno a definire spazi e momenti in cui lasciarlo fuori, per libera scelta, dalla propria vita. Disconnettersi regolarmente, spegnendo o ponendo una distanza fisica dal proprio telefono, magari durante una passeggiata, un incontro tra amici, la visione di un film, nel tempo della preghiera o nell’intimità serale degli affetti familiari… non potrà che farci bene, ridando serenità alla nostra mente e qualità alle nostre relazioni.Alessio Graziani