Israele e Hamas. Asfar (Caritas Jerusalem): "Aiutare per ridare speranza a chi ha perso tutto" “La situazione è sempre più grave: Gaza è spezzata in tre tronconi, nord, sud e l’area di Rafah, al confine con l’Egitto. C’è estremo bisogno di cibo, specie al nord, dove si trovano anche le due parrocchie, la cattolica della Sacra Famiglia e quella ortodossa di san Porfirio. Molte donne e bambini vivono in condizioni di insicurezza alimentare. Altra grave emergenza è la mancanza, in tutta la Striscia, di medicine e di cure. Sono in molti, anche tra i cristiani, a voler emigrare all’estero”. Da Gerusalemme, Anton Asfar, segretario generale della Caritas locale, prova a raccontare al Sir la situazione umanitaria nella Striscia a nove mesi dall’attacco terroristico di Hamas a Israele (7 ottobre 2023). Caritas Jerusalem attualmente è una delle poche organizzazioni umanitarie attive nell’enclave palestinese e dallo scoppio della guerra assiste la popolazione a Gaza City, nel nord, a Rafah e Khan Yunis, a sud. Un impegno difficile che è costato la vita anche a due dei suoi operatori, Viola e Issam, morti nei primi mesi del conflitto a causa dei bombardamenti.   Caritas in azione. “Sul campo adesso ci sono 75 operatori – spiega Asfar – quasi tutti impegnati al Sud, in ambito sanitario e nella distribuzione di aiuti e beni materiali. Abbiamo, sempre nella stessa zona, dove sono state evacuate centinaia di migliaia di persone, 11 team medici attivi. Siamo a Der El Balah, Khan Yunis e nel campo di Al Nuserat. A Gaza city aiutiamo la piccola comunità cristiana sfollata e abbiamo un centro clinico di emergenza dove accorrono centinaia di persone, soprattutto donne, bambini, anziani e feriti. Fondamentale per la realizzazione di questi interventi, non solo a Gaza ma anche nei Territori occupati, un primo contributo di 600mila euro di Caritas Italiana”. Il pensiero di Asfar corre anche alla Cigiordania e a Gerusalemme Est dove, ricorda, “la situazione si sta deteriorando sempre più in conseguenza della guerra in corso a Gaza. La disoccupazione in queste due aree è cresciuta. Decine di migliaia di lavoratori palestinesi, che prima del 7 ottobre, si recavano in Israele per lavorare, si sono visti ritirare i loro permessi di lavoro e sono mesi che non hanno più uno stipendio con cui sostenere la famiglia. A pesare è anche la decisione di Israele di bloccare il trasferimento dei fondi delle tasse che raccoglie per l’Anp, (Autorità nazionale palestinese), impedendo a quest’ultima di pagare stipendi ai dipendenti pubblici, oltre che pensioni, assegni sociali e prestazioni mediche. Spostarsi da una città all’altra della Cisgiordania per i palestinesi è impresa quasi impossibile a causa dei check point militari israeliani”. Asfar denuncia anche “i crescenti attacchi dei coloni israeliani alle proprietà dei palestinesi. Questi ultimi non sono più in condizione di lavorare le loro terre, di allevare i loro animali e così perdono raccolti e lavoro. L’economia palestinese è ferma. Anche il sistema scolastico pubblico dell’Anp è collassato. Chi ha i figli nelle scuole private non riesce a pagare le rette”. L'aiuto di Caritas Italiana. Per rispondere a queste emergenze Caritas Jerusalem e Caritas Italiana stanno pensando un piano di interventi che, oltre all’assistenza umanitaria, dovrà garantire un percorso di riabilitazione economica e sociale, sia a Gaza che in Cisgiordania, senza dimenticare le situazioni di marginalità in Israele. “Durante la recente visita (24-27 giugno, ndr.) di una delegazione di Caritas Italiana, nostro tradizionale partner, abbiamo pensato ad una serie di programmi e di iniziative solidali, tra cui dei gemellaggi con parrocchie palestinesi e diocesi italiane” rivela Asfar che annuncia che “per la fine di luglio, alcuni dei nostri giovani andranno a Cagliari per partecipare ad un campo estivo di formazione tenuto dalla Caritas locale con la quale abbiamo una partnership attiva sin dal 2022. Saranno loro, e tutti gli altri che li seguiranno, a portare avanti questi progetti in Terra Santa. I giovani possono essere il nostro futuro se riusciamo a trattenerli qui con progetti seri e sostenibili”. I pellegrinaggi. Un aiuto potrebbe arrivare anche dai pellegrini. “I pellegrinaggi – sottolinea Asfar - aiutano a stemperare la tensione, sostengono l’economia di tante famiglie cristiane che lavorano nel settore turistico religioso e nell’artigianato, creano un ambiente di pace e di preghiera. Esortiamo le diocesi, le parrocchie a tornare in Terra Santa, a soggiornare a Betlemme, a Gerusalemme, venite a pregare per la pace. È ciò di cui abbiamo bisogno”. Quale futuro? “Ma il futuro oggi - annota il direttore di Caritas Jerusalem - per ora ha le sembianze delle macerie di Gaza, i volti delle vittime della guerra, gli occhi terrorizzati di chi è sopravvissuto alle bombe. Lavoriamo a Gaza, a Gerusalemme Est, a Betlemme e in tutta la Cisgiordania per riconsegnare un po’ di speranza a chi ha perso tutto, a chi non vede una via di uscita, un futuro a questa vita. Come cristiani siamo chiamati a portare luce e speranza dove ci sono tenebre. Negli ultimi mesi almeno 20 famiglie cristiane di Gerusalemme hanno scelto di emigrare all’estero. Hanno perso ogni fiducia nel futuro e temono per i loro figli. Da parte nostra noi continuiamo a chiedere la liberazione degli ostaggi israeliani, dei detenuti palestinesi, passi necessari per creare un terreno dove poter far nascere un primo accordo per un cessate il fuoco, per una tregua da cui ripartire”.Daniele Rocchi