Agricoltura ed Europa: si avvicina la resa dei conti Passata la tornata elettorale, adesso gli agricoltori – in Italia e non solo – aspettano al varco chi ha vinto la corsa: i futuri Parlamento europeo e Commissione sono attesi alla prova dei fatti. In gioco, non solo qualche centinaio di miliardi di euro, ma lo stesso modello di produzione agroalimentare: tra un estremo ecologista e un altro produttivistico. Gli agricoltori di buona parte dell’Europa hanno, di fatto, già detto la loro qualche mese fa quando, in diversi stati membri, sono stati protagonisti di una serie importante di manifestazioni che hanno bloccato intere città, numerose vie di comunicazione e che hanno avuto in Francia, Germania, Belgio alcuni degli epicentri. Proteste che hanno toccato pure l’Italia. Tra le richieste, una burocrazia più snella, vincoli ambientali meno stringenti, più tempo per adattarsi ad una nuova Politica agricola comune (Pac) che chiede più attenzioni alla compatibilità con la natura delle pratiche agricole, regole di reciprocità nei confronti delle produzioni agroalimentari provenienti da tutto il mondo sono alcuni dei temi che hanno tenuto banco negli ultimi mesi. Senza dire, ovviamente, della richiesta di avere comunque più fondi a disposizione. Richieste che, con toni e accenti diversi, hanno manifestato anche gli agricoltori italiani. E proprio uno sguardo più attento all’Italia può dare qualche indicazione di più su cosa l’Europa verde si aspetta dal nuovo corso politico che ha preso forma. Così, i coltivatori diretti hanno messo a punto una sorta di “Manifesto” in dieci punti fatto sottoscrivere in una cerimonia alla quale sono stati convocati tutti i partiti in lizza. “L’Europa che vogliamo” è il titolo del decalogo Coldiretti che, viene spiegato nel documento, ha l’obiettivo di “rilanciare l’agricoltura, valorizzare il ruolo dei produttori, difendere qualità e trasparenza dei prodotti agroalimentari, sostenere il reddito degli agricoltori”. Alla Pac, ovviamente, vengono chiesti più soldi per “assicurare l’autonomia alimentare dei cittadini europei e favorire il ricambio generazionale”. Oltre a tutto questo, Coldiretti dice chiaro: “Basta con le politiche ‘ideo-ecologiste’, mai più strategie scritte contro l’agricoltura, ma investimenti anche per favorire il ricambio generazionale e assicurare così il futuro all’Unione europea”. È da questo approccio che passa tutto il resto della piattaforma: il riconoscimento del ruolo degli agricoltori come custodi degli ecosistemi e della biodiversità, l’obbligo dell’etichetta con indicazione di origine per tutti gli alimenti e l’abolizione della regola del codice doganale sull’ultima trasformazione lo stop alle importazioni che non rispettano gli standard europei e italiani. Parola d’ordine è “reciprocità”. Moloch da combattere è, invece, quello della concorrenza sleale. Accanto al “riconoscimento di un giusto reddito per gli agricoltori”, Coldiretti pone l’accento sullo sviluppo attraverso la Pac di accordi di filiera oltre che un’accelerazione sulla ricerca e sullo sviluppo rurale. Se i coltivatori diretti si sono affidati ad un “Manifesto”, la Cia-Agricoltori italiani ha sintetizzato tutto in una “lettera appello” per “ripartire dall’agricoltura puntando, soprattutto, sullo sviluppo delle aree rurali, assicurando un reddito equo ai produttori, garantendo la salvaguardia della Dieta Mediterranea e rinnovando un dialogo costante con le organizzazioni di rappresentanza”. Cia parla quindi di un “filo che è unico tra il valore del cibo italiano e di un modello nutrizionale patrimonio Unesco e l’attività produttiva nei campi e nelle stalle". Questa organizzazione agricola ricorda il “legame indiscutibile con un territorio specifico di tutta una penisola, dove agricoltori e allevatori sono garanti dell’approvvigionamento alimentare, ma anche custodi del paesaggio, di quella sostenibilità ambientale, economica e sociale, che tiene in piedi un Paese intero, per il 58% costituito da aree interne”. E, ancora il fatto che la “sovranità alimentare è nelle mani dell’agricoltura” e che quindi “lo sforzo diplomatico a livello internazionale deve impegnarci, a difesa di questi principi che sono la linfa intangibile di 64 miliardi di fatturato in termini di export”. Cia tuttavia sottolinea come, “senza sostenibilità economica del settore, non ci possa essere né quella ambientale, né quella sociale”. E di internazionalizzazione agricola, sostenibilità delle produzioni, ambiente e competitività parla anche Confagricoltura in un altro “Manifesto” messo a punto in occasione delle elezioni e che parla della necessità di passare, guardando al settore, da una “logica di contingenza ad una logica di prospettiva”. Partendo anche in questo caso da alcuni capisaldi come l’aumento delle risorse a disposizione ma anche della cooperazione tra le diverse componenti dell’Europa, insistendo sull’importanza della sicurezza alimentare e sui tempi di applicazione del Green Deal e cioè su quell’approccio alle tecniche di coltivazione e allevamento che tenga più conto della compatibilità ambientale delle produzioni agricole. Dice il “Manifesto” di Confagricoltura in uno dei suoi passaggi finali: “L’Unione europea deve continuare a perseguire la neutralità climatica da raggiungere entro il 2050. Vanno però modificate le modalità operative del Green Deal. Le scelte ispirate dal fondamentalismo staccato dalla realtà generano tensioni e non producono risultati. Mentre con il supporto della ricerca, delle innovazioni e degli investimenti, le imprese vanno messe nella condizione di raggiungere gli obiettivi fissati”. Percorso dunque subito in salita quello dell’Europa uscita dalle urne nei confronti dell’agricoltura e dell’agroalimentare. Percorso lungo il quale saranno milioni di agricoltori pronti a scendere nuovamente nelle strade e nelle piazze.Andrea Zaghi