Il rischio astensionismo Non mi pare si possa dire che – come tanti ripetono - di Europa non si è parlato in questa campagna elettorale. Sì, è vero, tutti i partiti, dato il sistema proporzionale, puntano ad ottenere il maggior consenso possibile come carta vincente anche a livello nazionale, ma non si può dire che non gli serva anche in sede europea; e se i temi e le scelte in politica nazionale servono per avanzare nelle percentuali, non si può negare che tutti si siano espressi su pressanti temi internazionali, maggiormente costretti a farlo in questa tornata anche da questioni che si presentano più incalzanti. Nonostante ciò, è comprensibile rimangano dubbi ed esitazioni negli elettori (sulle vere risposte e anche sui candidati). Chi vuole la pace – e penso siamo tutti – dovrà puntare su chi propone risposte più decise all’aggressione russa vicino ai nostri confini o su chi ritiene si debba solo e soltanto tentare la via diplomatica (come si farà a metà giugno in Svizzera; e tutti speriamo utilmente, anche se è già visibile la fragilità dell’impianto mancando uno dei due principali interlocutori)? Chi vuole “più Europa” a scapito della sovranità nazionale, ma è incerto sulla clausola dell’unanimità, dovrà votare chi ripropone questa o chi pensa di eliminarla? E chi, al contrario, vuole “meno Europa” e più autonomia nazionale, a che pro si dovrebbe avventurare in una consultazione che rischia di diventare addirittura contraddittoria o controproducente eleggendo appunto chi va in quel parlamento “lontano”? Posto che tutti vorrebbero cambiarla, questa UE, quale tipo di cambiamento si potrà scegliere, se le condizioni per realizzarlo sono a loro volta condizionate da un’infinità di fattori cogenti e se molti schieramenti tergiversano su questioni scottanti per scontentare il meno possibile l’una o l’altra fascia di elettori? Chi è convinto dell’urgenza della transizione ecologica in che misura può essere tranquillo se sceglie chi la propugna a spada tratta, se poi, anche durante la passata legislatura, non si è potuto non fare almeno un po’ marcia indietro? E chi non la ritiene poi così necessaria resterà sereno verso il futuro proprio e delle nuove generazioni votando chi addirittura la nega? Per non parlare degli “indipendenti”. Chi condivide in toto (o quasi) le scelte sostanziali del Pd, come potrà votare, ad esempio, un Tarquinio che ne nega gran parte già in partenza, o al contrario chi voterà costui sapendo che le sue idee saranno facilmente affossate nella bolgia variegata di quel sempre cangiante partito di “sinistra”? E chi condivide le posizioni di Vannacci come si concederà di votare la lista in cui è entrato, sapendo che ha già scelto diversamente, o al contrario chi non le condivide sarà tranquillo nel dargli comunque spazio, anche solo indirettamente, in Europa? L’anomalia più eclatante è senza dubbio quella dei big che si mettono in lista (magari anche in tutte le circoscrizioni, ma assicurando che non andranno a Strasburgo. Renzi a parte, che dice di volerci proprio andare; ma forse potrebbe non aver bisogno di scegliere…). E della “matrice cristiana” che ne sarà? A ricordarla e promuoverla sono sempre meno. Insomma, oltre alla sfiducia nei politici, sono molte le fonti-causa dell’astensionismo. Che è sempre una scelta sbagliata, e per questo non mancano appelli a recarsi alle urne, come anche noi ovviamente ribadiamo convinti. Confidando che chi ci andrà (speriamo, almeno, una percentuale decente: si frenerà il calo progressivo?…) scelga il meglio possibile, senza giudicare che le scelte altrui siano deprecabili. E che chi sarà eletto abbia idee chiare, unite alla capacità di mediare per il bene vero dell’UE e del mondo, che, in fondo, è la stessa cosa; anche se a taluno può non sembrare. Da ricordare, in appendice, che si vota anche per la Regione Piemonte (così in sordina stavolta!...) e per 3700 comuni (ma solo tre nel nostro territorio).Vincenzo Tosello