Ue: un nuovo grande rilancio Cara Unione ti scrivo…. A chi poteva venire in mente una lettera all’Europa? Non a chi è coinvolto nella campagna elettorale che - detto senza malizia alcuna - in virtù dell’appartenenza ad una parte, pur anche avendo la capacità di uno sguardo onnicomprensivo e distaccato, de facto orienta i suoi discorsi a dimostrare la valenza delle proprie teorie politiche e il valore dei propri intenti. E’ piuttosto facile immaginare che la penna sia stata usata da qualche esperto, costituzionalista, docente. Per questo può aver suscitato stupore che il 9 maggio, in occasione della Giornata dell’Europa, lo abbiano invece fatto due uomini appartenenti alla Chiesa che ricoprono due ruoli importanti: S.E Matteo Zuppi e mons. Mariano Crociata, il primo presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana) e Vescovo di Bologna, il secondo presidente della Comece (Commissione delle Conferenze Episcopali dell'Unione Europea). Lo stile è decisamente fresco e giovanile, l’argomentare diretto. Il testo della missiva scorre sciolto: gli autori danno del tu all’Unione europea a cui si rivolgono come se fosse non un’istituzione ma una persona alla quale indirizzano richieste, svelano auspici, confessano preoccupazioni. Una lettura non solo facile ma anche consolante per l’effetto sortito, a dir poco rinvigorente e motivante: i pilastri su cui si fonda l’Unione sono i valori sacri della vita e di una fratellanza che, dopo secoli in cui le nazioni si sono fatte reciproca sanguinosa guerra, ha saputo riscuotersi e sollevarsi fino al porre fine a odio e violenza per cercare nella preziosa e rara unità - di chi fino a prima era nemico - un futuro e una forza nuovi. Il frutto più bello di tale svolta è stato il settantennio di pace vissuta e condivisa fino a un paio di anni fa, impreziosita da una serie di tappe che hanno disegnato un crescendo di condivisione: dalla prima idea d’Europa concepita nel 1951 attorno al carbone e all’acciaio (materie allora indispensabili per fare la guerra e per questo gestite insieme), i trattati di Roma del 1957 (nascita della Comunità Economica Europea o Cee e della Comunità europea per l’atomica o Euratom), i nuovi ingressi di paesi dopo il crollo del muro di Berlino (1989), il cambio del nome in Unione Europea (1992), l’allargamento ai paesi del Patto di Varsavia con dieci nuovi ingressi (2004), la moneta unica e l’eliminazione delle frontiere interne. In questo cammino l’Europa ha regalato a se stessa il valore dell’unità, della libera circolazione di persone e merci, di una fratellanza che ha saputo mantenere i distinguo e le caratteristiche propri di ciascuna nazione ma al contempo ha riconosciuto una matrice comune capace non di ingabbiare ma di dare spinta nuova e forza maggiore. Così, ricordando le origini e tratteggiando virtù, tra ombra e luce la lettera ricorda quello che c’era, riprende quello che ora manca, tratteggia quello che sarebbe auspicabile s’irrobustisse. Scrivono infatti i due mittenti “abbiamo nel cuore un desiderio”, anche se poi i desideri esplicitati sono più d’uno: “Che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai!”. Risuona forte l’appello a porre fine alla guerra in Ucraina: “Europa dove sei?” si chiedono, e citando papa Francesco: “Verso dove navighi se non offri percorsi di pace?” (Lisbona, 2 agosto, 2023). Quindi invitano i governanti, quelli di oggi e quelli di domani dopo l’imminente tornata elettorale, a “riprendere in mano il progetto dei padri fondatori”, “a costruire nuovi patti di pace”. Perché pace e unità vanno cercate come compito sempre nuovo e urgente: sono i due pilastri su cui l’Unione – per essere davvero tale – deve reggersi. Un’Unione che, nel bene e nel male, incarna sempre il volto delle sue idee: quindi, e auspicabilmente, meglio se aperto e accogliente (“chi accoglie genera vita”), non ostaggio delle parti, non immemore del passato, capace di “risvegliare la propria forza”, di “costruire nuovi patti di pace”, dimostrando ancora “la statura storica e culturale” che ne ha fatto, e tutt’oggi ne fa, una meta ambita, sognata, cercata a costo della vita stessa da molte popolazioni che invece non conoscono che guerra, povertà, impossibilità di far crescere e fiorire esistenze e talenti. Zuppi e Crociata scrivono: “Cara Unione europea sei un organismo vivo” ma l’ammoniscono: “Non puoi essere solo burocrazia”, non basta una moneta unica: “Serve un’anima!”. I padri fondatori – Schuman, Adenauer, De Gasperi- “con intelligenza, ambizione e coraggio… animati dalla fede cristiana” avevano sentito la chiamata a creare qualcosa di nuovo, “avevano creduto che le nazioni non fossero destinate a combattersi”… Un valore da ritrovare adesso, in questo pericoloso ritorno alle armi e ai nazionalismi: “Un nuovo grande rilancio del tuo cammino di Unione verso una integrazione sempre più piena, che guardi a un fisco europeo che sia il più possibile equo; a una politica estera autorevole; a una difesa comune che ti permetta di esercitare la tua responsabilità internazionale; a un processo di allargamento ai Paesi che ancora non ne fanno parte, garanzia di una forza sempre più proporzionata all’unità che raccogli ed esprimi”. Serve, in sintesi, un rilancio che sarà tanto più forte quanto più sarà sentito e condiviso dai 27 paesi, dai 450 milioni di persone che stanno per andare a scegliere, nei candidati che voteranno, il volto di domani dell’Unione. Il nostro volto doppiamente: come europei e come appartenenti a uno stato dell’Unione.Simonetta Venturin