Diocesi: mons. Miniero (Taranto), "ognuno deve dire 'tocca a me' nel rimuovere vecchie muffe che incrostano istituzioni e modi di fare e che talvolta rendono questa città provinciale" Si sono conclusi ieri i tre giorni di festeggiamenti che Taranto tributa al suo santo patrono, san Cataldo. Dopo la processione a mare dell’8 maggio, ieri quella a terra e il discorso più sentito dalla comunità, quello dal balcone della chiesa del Carmine da parte dell’arcivescovo della diocesi di Taranto, mons. Ciro Miniero. "Mi sto rendendo sempre più conto degli affanni di Taranto, ma non mi stancherò di spronarvi ad attuare una narrazione diversa di questa città. Sappiamo cosa ha patito e cosa patisce, sappiamo l’enorme potenziale inespresso, sappiamo che è soffocata da interessi che la sovrastano e la offendono sacrificandola in nome del profitto, ritenendola beffardamente strategica sempre per gli altri e non per noi. Ma ogni cristiano deve dire 'tocca a me' occuparmi di Taranto non rallentando il processo di cambiamento con stucchevoli fatalismi lamentele o nella caccia dei capri espiatori di turno". L’arcivescovo ha fatto riferimento anche alla recente premiazione dell’attore e regista Michele Riondino e del cantautore Antonio Diodato ai David di Donatello con “Palazzina Laf”, film che racconta del primo caso di mobbing in Italia, all’interno dell’ex Ilva. "Sono tarantino da pochi mesi – ha detto il presule - eppure ho gioito e mi sono sentito paternamente orgoglioso quando ho appreso la notizia che figli di questa terra si sono distinti nel campo della musica e del cinema. Hanno raccontato il dolore attraverso la bellezza dell’arte narrando una Taranto ferita, ma non uccisa, e quindi capace di riscattarsi. Ognuno deve dire 'tocca a me' nel rimuovere vecchie muffe che incrostano istituzioni e modi di fare e che talvolta rendono questa città provinciale, autoreferenziale e con le spalle al mare, questo mare che invece ci dice che il futuro è sempre al largo". Dopo il concerto in piazza Castello, conclusione alle 23.30 con i fuochi d’artificio dal Castello aragonese.Marina Luzzi