Accogliere, ospitare e proteggere: lo vuole il Papa. L’opera delle religiose durante l’occupazione tedesca L’occupazione nazista di Roma In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943 e alla decisione del re e del governo di trasferirsi a Brindisi, Roma venne occupata dai tedeschi. Si aprì per la città un periodo cupo che terminerà solo con l’arrivo degli americani all’inizio di giugno dell’anno successivo. In quei lunghi mesi, i nazisti misero nel mirino ebrei, politici antifascisti, militari badogliani, renitenti alla leva. Il momento più tragico fu la razzia del ghetto, il 16 ottobre del 1943, dopo la quale vennero deportati nel campo di sterminio di Auschwitz 1.023 ebrei romani. Di fronte a una tale barbarie, nella città si creò una vasta rete di solidarietà. Fu il tempo in cui – secondo una nota definizione – mezza Roma nascondeva l’altra metà. Particolarmente attive furono le strutture cattoliche: parrocchie, conventi, monasteri, ospedali. Si trattò di una mobilitazione senza precedenti che coinvolse centinaia di preti e religiosi che – a rischio della loro stessa vita – decisero di nascondere i ricercati. Nello studio Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, pubblicato nel 1961, Renzo De Felice stimava in 4.447 gli ebrei salvati in strutture ecclesiali: 2775 in case religiose femminili, 992 in quelle maschili, 680 in locali dipendenti dalle chiese. Secondo Grazia Loparco , che riprende e rielabora lo studio di De Felice, sono i monasteri e i conventi femminili ad essere i più sensibili all’emergenza. Su quasi 200 case religiose che aprono i loro portoni, 60 sono di ordini maschili e oltre 130 di quelli femminili. Quest’impegno straordinario e rischioso affondava le sue radici nella tradizione di carità della Chiesa. Sacerdoti e religiosi erano convinti di non potersi sottrarre dal fare il bene, aprendo le porte a tutti coloro che avessero bisogno di ricovero, perseguitati in grave pericolo della vita. La loro generosità venne sostenuta e incoraggiata dal papa. Documenti e testimonianze lo attestano. Analizzando le cronache di alcuni monasteri romani che aprirono le porte ai perseguitati, compare un riferimento alla volontà del papa affinché le case religiose diventassero rifugio per chi ne avesse bisogno e sembra affiorare una formula ricorrente che potrebbe rimandare a un’ipotetica disposizione mandata a memoria e comunicata oralmente. Confrontando i documenti, si può avanzare l’ipotesi che a chiedere di ospitare i perseguitati nelle case religiose romane sia stato proprio il papa attraverso una disposizione ben precisa. Le cronache oltre a raccontare della richiesta di Pio XII di nascondere i perseguitati, offrono, infatti, la possibilità di altre considerazioni che possono far ipotizzare una comune derivazione. All’origine, potrebbe esserci, cioè, un testo X, comunicato oralmente, sulla base del quale sarebbero stati riprodotti i passaggi delle tre Cronache. La Segreteria di Stato vaticana era sempre in diretto contatto con i conventi che nascondevano gli ebrei. Lo racconta suor Maria Piromalli, dell’Istituto Pio X che si trova a Roma, in Piazza S. Pancrazio 44. È lei a ricordare che Pio XII “ha lanciato un appello a tutti gli istituti religiosi di Roma per soccorrere gli ebrei”, aggiungendo che ad avvertire il suo Istituto fu don Emilio Rossi, all’epoca Segretario dell’Ufficio Informazioni per i prigionieri di guerra, della Segreteria di Stato. Grazia Loparco riferisce come suor Assunta e Suor Maria, Clarisse di San Lorenzo abbiano raccontato che “per le suore di clausura anche stretta il papa aveva dato oralmente disposizione facoltà di accogliere rifugiati. L’ordine era arrivato tramite il Cardinale Vicario, per chi dipendeva dal Vicariato”. Una versione confermata da padre Ferrari dei Filippini di S. Maria in Vallicella. Questi religiosi accolsero ebrei di propria iniziativa ma ricordano anche l’invito ad aprire i monasteri di clausura arrivato tramite un passaparola. Di una indicazione da parte della Santa Sede, si trova traccia anche nella testimonianza di Madre Savina (Alice) Facchi, nata a Chiari, nel bresciano, nel 1915, ma che per molti anni ha vissuto a Roma: “Sono stati salvati Ebrei, persone singole di ambo i sessi, e anche gruppi, e intere famiglie, nascoste in piccoli appartamenti specie a Roma, presso la nostra “Villa Giuseppina”, Clinica Neuro-psichiatrico che ha avuto la sua Sede, dal 1910 al 1960, in Via Nomentana, 240 (….) Le persone salvate erano quasi sempre raccomandate dal Vaticano, e tra queste vi erano parenti di illustri Prelati tedeschi (…) L’ospitalità era molto rischiosa e la responsabilità era assunta da Madre Anna Maria Martorano, deceduta nel 1977”. Sicure di fare la volontà del Papa Le religiose che accolsero e nascosero i perseguitati mostrano – nelle cronache scritte e nelle testimonianze – la consapevolezza di adempiere a una precisa volontà del papa. Molteplici i ricordi delle raccomandazioni orali provenienti direttamente dal Vaticano oppure da “degni ecclesiastici” e “rispettabili Sacerdoti” o dal Vicariato come si legge in alcune cronache di conventi romani. Dall’apertura degli archivi vaticani del pontificato di Pio XII, voluta da papa Francesco nel marzo del 2020, non è affiorata finora nessuna carta che certifichi come l’ordine di aprire le porte ai perseguitati sia arrivato dal Vaticano. Difficile che si trovi un documento del genere. In una intervista all’agenzia Ansa, Andrea Riccardi, parlando del suo saggio La guerra del silenzio, in cui raccoglie alcune carte degli archivi del pontificato pacelliano di quegli anni drammatici, ha affermato: “Dagli archivi vaticani emerge moltissimo ma non quello che si cerca, la prova della complicità o la prova dell’assoluzione di Pio XII ma emerge un materiale enorme sugli Stati in guerra, sulla condizione degli ebrei, lettere drammatiche di persone che chiedono aiuto, descrizioni di situazioni terribili. E poi emerge il ruolo della Santa sede, del papa che sono una fragile navicella in un oceano europeo in tempesta”. Ad archivi aperti, dunque, è ancora utile, nello studiare la risposta cattolica all’emergenza, mettere sotto la lente le cronache dei conventi e le testimonianze. I racconti orali e le memorie scritte consolidano l’idea che tutte le religiose considerassero aprire le porte e offrire ospitalità ai perseguitati l’ottemperanza al desiderio di Pio XII. Di come questa volontà fosse stata manifestata non vi è evidenza documentaria ma è possibile avanzare un’ipotesi ragionevolmente credibile.Antonello Carvigiani