Un dramma che ci interpella

La morte di una mamma e della sua bambina, trovate abbracciate in un isolotto del Piave dopo tre giorni di ricerche, scuote ancora una volta la nostra diocesi e in particolare la comunità di Miane. In questi casi, sarebbe semplicemente da non dire nulla, restare in silenzio ed esprimere solo vicinanza e prossimità ai cari delle persone coinvolte. Chi ha il dono della fede può sperare che tutto questo dolore, tutto questo soffrire, non cada nel vuoto del non senso, ma venga, comunque e sempre, raccolto e custodito dal Dio della vita, la cui misericordia è senza limiti

Foto Siciliani-Gennari/SIR

La morte di una mamma e della sua bambina, trovate abbracciate in un isolotto del Piave dopo tre giorni di ricerche, scuote ancora una volta la nostra diocesi e in particolare la comunità di Miane. In questi casi, sarebbe semplicemente da non dire nulla, restare in silenzio ed esprimere solo vicinanza e prossimità ai cari delle persone coinvolte.

Chi ha il dono della fede può sperare che tutto questo dolore, tutto questo soffrire, non cada nel vuoto del non senso, ma venga, comunque e sempre, raccolto e custodito dal Dio della vita, la cui misericordia è senza limiti.

Insieme alla preghiera per chi viene a mancare ed alla vicinanza di chi resta (penso in particolare al papà della piccola, agli altri tre figli della donna…), questo episodio – purtroppo insieme a numerosi altri accaduti recentemente nel nostro territorio – ci interpella profondamente e ci pone degli interrogativi.

Una prima domanda riguarda il tipo di società che abbiamo costruito e in cui viviamo.

Nonostante un apparente benessere, molti di noi vivono profondi disagi interiori:

a volte legati anche a fragilità psicologiche, questi disagi sono nascosti e quindi difficilmente percepibili dalle persone più prossime, persino dagli stessi familiari. Queste situazioni diventano ancora più complesse lì dove il rapporto di coppia o il contesto familiare è fragile o segnato da ulteriori fatiche, come sembra accadere sempre più spesso. Questa società, in cui prevale l’individualismo e le relazioni comunitarie si sono allentate, se non addirittura del tutto infrante, è davvero la migliore possibile?

Abbiamo bisogno di recuperare la dimensione delle relazioni e della comunità, non solo nel contesto ecclesiale ma anche semplicemente a livello sociale. Ricostruire questa “rete relazionale” sembra oggi una priorità che dovrebbe vederci tutti lavorare insieme concordemente.

Una seconda domanda riguarda quello che possiamo fare per accorgerci maggiormente dei segni di malessere – soprattutto quelli più piccoli – di chi vive accanto a noi: come cogliere in tempo, per quanto è possibile, l’inizio di scelte autodistruttive. Si tratta di

essere adeguatamente formati, e quindi attrezzati, per prevenire questo genere di episodi.

Sul territorio esistono diverse realtà che possono aiutare in questo tipo di situazioni: farle conoscere di più è già un prezioso servizio. A livello provinciale, ad esempio, esiste un “Tavolo prevenzione suicidi” che da tempo lavora per mettere in rete il mondo delle associazioni e del volontariato e quello delle istituzioni, al fine di promuovere iniziative per prevenire gli atti suicidari, diffondere il valore della vita ed accompagnare i superstiti.

Un’altra domanda (e questa la pongo anche a me come giornalista) riguarda il modo in cui gli operatori della comunicazione affrontano e diffondono questo genere di notizie. C’è un documento dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che dà delle indicazioni deontologiche precise per evitare il più possibile la spettacolarizzazione e l’effetto imitazione. Come giornalisti, dovremmo rileggerlo con massima attenzione e con grande senso di umanità.

(*) direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto)

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