“Hai le ore contate, ti ammazziamo”. E poi il lancio di sassi, bottiglie e bastoni. È successo qualche giorno fa a Roma, zona Quarticciolo. A farne le spese per l’ennesima volta è don Antonio Coluccia, il prete noto per il suo impegno contro lo spaccio e la criminalità nelle periferie di Roma. L’incidente è avvenuto durante una visita pastorale del sacerdote, che vive sotto scorta per le sue attività di contrasto alla criminalità. Gli aggressori si sono scagliati contro don Coluccia con una violenza inaspettata, urlando minacce esplicite: “Sei un Buscetta”, riferendosi al celebre pentito di mafia. Grazie all’intervento tempestivo del servizio di scorta, don Coluccia è stato messo in sicurezza e l’aggressione è stata contenuta. Questo episodio evidenzia il grave rischio e le difficoltà che affronta chi, come don Coluccia, si oppone fermamente alla criminalità organizzata. A pochi giorni dai fatti del Quarticciolo il Sir lo ha incontrato.
Don Antonio, l’ennesima aggressione in pochi mesi…
Le aggressioni per noi sono all’ordine del giorno. L’ultima, di pochi giorni fa, dove mi sono state lanciate delle bottiglie al Quarticciolo. Sono stato scortato via ma sono abituato. La situazione scandalosa è che non sono riuscito ad entrare nei lotti (case popolari). Lo stesso posto dove poco tempo fa è morto un giovane di 27 anni per overdose. Non si può morire di droga. In questi territori la vita viene banalizzata. Ma la vita è un dono. La vita è sacramento. La cosa che mi preoccupa è che in questi territori i cittadini sono rassegnati. Sta avvenendo una sorta di normalizzazione del fenomeno. E la fase di normalizzazione è pericolosa.
Noi dobbiamo impedire che tutto questo avvenga, anche se farlo è rischioso, ma non esiste Vangelo senza rischio e non esiste rischio senza Vangelo. Così come non esiste cittadino senza Costituzione e non esiste Costituzione senza cittadino.
Perché il suo lavoro dà così fastidio?
Faccio questa attività di presidio nei vari territori di periferia dove sono concentrate delle piazze di spaccio. Cerchiamo di togliere dalla strada qualche ragazzo e dargli una speranza di vita nuova. Nella periferia romana, così come in altre parti d’Italia, queste zone sono militarizzate dai clan, che chiaramente hanno un loro welfare criminale e diventano la prossimità dove c’è povertà ed emarginazione. Ci si trova tra crocifissi e crocifissori. Noi cerchiamo di stare con le persone, aiutarle, dar loro un po’ di coraggio affinché questo fenomeno venga sradicato. Dobbiamo sensibilizzare le coscienze a livello civico così come evangelico.
Quanto è grave il problema della droga nella Capitale?
Chi fa uso di queste sostanze nel lungo periodo spesso va incontro a problemi psicologici e psichiatrici, e quindi ci sono realtà di narcotraffico che se ne approfittano. Le persone sono sempre più deboli e vulnerabili e rimangono assoggettate a questi clan. Si crea, ripeto, un vero e proprio welfare criminale. Tuttavia, il sistema delle piazze di spaccio e la droga sono causa e conseguenza del sistema di abbandono e degrado dei territori periferici. Andare lì a fare presidi pastorali significa andare fisicamente dalle persone più deboli e dir loro
“Siamo qui per voi”.
Le persone hanno paura, non possono dormire. Si deve andare nei territori, viverli, portare cultura della bellezza. Portare anche alternative ludiche che facciano vedere che una vita diversa è possibile, soprattutto per i più piccoli.
I più giovani sono tanto coinvolti?
Sì! La droga in questa società ha preso diritto di cittadinanza. Il problema riguarda particolarmente i giovani e i giovanissimi. Ho visto bambini di 10/12 farne uso. È diventato un fatto culturale. Per loro è normale fare la vedetta e usare sostanze. Noi non possiamo e non dobbiamo lasciarli soli. Il mondo degli adulti è responsabile di tutto questo. Come cittadini e come battezzati non possiamo far finta di niente e non fare nulla. Non possiamo abbandonarli