Le ferie, con la conseguente sospensione delle attività e la riduzione del personale, di per sé insufficiente, aggravano notevolmente le già difficili condizioni di vita all’interno delle carceri durante i mesi estivi, rendendo particolarmente pesante il periodo intorno a Ferragosto. Mons. Marco Fibbi, coordinatore dei cappellani del polo penitenziario di Rebibbia, ritiene fondamentale ricordare anzitutto che gli istituti penitenziari non devono essere associati esclusivamente a luoghi di detenzione per scontare una pena. Possono anche diventare ambienti in cui promuovere la crescita personale e culturale. “Tutte le iniziative in questo senso sono preziose per facilitare il reinserimento sociale dei detenuti – afferma –, ma non c’è dubbio che periodi come l’estate e le festività in generale possono accentuare il senso di isolamento all’interno delle mura carcerarie, rendendo le giornate molto tristi”. Ecco allora che per sfuggire alla solitudine e alleviare il gran caldo anche quest’anno una cinquantina di volontari della Comunità di Sant’Egidio saranno nelle case circondariali di Roma per la tradizionale “cocomerata solidale”. Circa tremila cocomeri saranno distribuiti tra mercoledì 14 e giovedì 15 agosto nel carcere di Rebibbia femminile, Rebibbia Nuovo Complesso e Regina Coeli.
L’estate carceraria 2024 è inoltre caratterizzata dal nuovo decreto carceri diventato legge e promulgato la scorsa settimana dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Un provvedimento normativo con il quale “si gira intorno al problema senza affrontarlo”, riflette mons. Fibbi. La situazione è grave e i numeri sono impressionanti. Dall’inizio dell’anno sono oltre 60 i detenuti che si sono tolti la vita negli istituti penitenziari. A questi poi vanno aggiunti i sette agenti della polizia penitenziaria che si sono suicidati. “Tragedie simili – chiosa il coordinatore dei cappellani di Rebibbia – non devono più accadere. Un solo suicidio in carcere è già troppo e non è uno slogan, non è un modo di dire.Siamo davvero a livelli altissimi e inaccettabili, forse perché evidentemente la politica se ne occupa in maniera sbagliata”. Da anni si parla del sovraffollamento che mette in crisi tutto il modello organizzativo dell’amministrazione penitenziaria, ma, secondo mons. Fibbi, il nuovo decreto, “anziché affrontare le vere cause del problema, si limita a proporre soluzioni assolutamente evasive e spesso contraddittorie”. Per il cappellano le annunciate assunzioni di educatori e agenti sono tanto buone quanto necessarie ma “non bastano, perché la situazione migliorerà solo nel lungo periodo. Nel frattempo sono le misure immediate, come la liberazione anticipata, a fare la differenza”. Da anni, cappellani e volontari propongono di intensificare i contatti tra i detenuti e l’esterno, superando la semplice telefonata che non va a vantaggio di tutti. Specialmente per i detenuti stranieri e per coloro privi di un nucleo familiare, le attività carcerarie rappresentano l’unica via per mantenere un legame con il mondo esterno. “Certo è che per organizzare queste attività – considera mons. Fibbi – sono necessari fondi oltre al supporto di associazioni di volontariato. Ecco perché ritengo sia sbagliato che, per alleggerire il carico di lavoro del personale carcerario, si limiti l’accesso del volontariato nelle strutture penitenziarie.
È fondamentale comprendere che bisogna puntare sulle attività riabilitative, dalla scuola al teatro, allo sport, che nel periodo estivo cessano. Ci impegniamo ogni giorno per il benessere dei detenuti e in estate, grazie ai volontari, raddoppiamo gli sforzi, ma, nonostante tutto, il malessere e la depressione persistono”.
A causa del personale ridotto a Ferragosto è difficile anche celebrare la messa, spiega don Stefano Rulli, cappellano di Rebibbia Nuovo Complesso. Per molti detenuti la fede rappresenta una fonte di conforto e speranza ed è molto forte la devozione alla Vergine Maria. “Dal punto di vista liturgico e catechetico – spiega don Stefano – sono come i bambini. Si informano sui colori liturgici e sui tempi dell’anno liturgico. Molto sentita poi la devozione alla ‘Mamma’. Ogni anno doniamo centinaia, forse migliaia di rosari ai detenuti che lo richiedono. In tanti lo indossano. Quando entrano in cappella rendono subito omaggio alla statua o al quadro della Vergine e ci tengono che ogni liturgia termini con la preghiera dell’Ave Maria. Ci sono anche detenuti che non partecipano alla messa ma si affidano alla Mamma recitando il rosario in cella”. Quest’anno don Rulli ha promosso la recita del rosario nel mese di maggio con i detenuti in regime di alta sicurezza. “Al termine del mese mi hanno chiesto se fosse possibile vederci una volta a settimana per continuare la preghiera comunitaria”.