Siccità in Sicilia. Mons. Marciante: “Fenomeno diventato insostenibile, valutare l’uso della dissalazione e basta sprechi”

Il vescovo di Cefalù e delegato dei vescovi siciliani per i Problemi sociali al Sir: "La situazione idrica è aggravata da deficienze strutturali e da manutenzione carente. A rischio tutto il settore agricolo, zootecnico e forestale. Vivere la solidarietà nel consumo dell'acqua"

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

La Sicilia alle prese con la più grave siccità degli ultimi decenni. Dopo il Pergusa e l’Ogliastro anche il lago Fanaco, che fornisce acqua a 15 comuni, è ai suoi minimi storici. Nell’agrigentino l’acqua è sempre più razionata, in alcuni casi arriva ogni 2/3 settimane, e sempre più cittadini devono far ricorso alle autobotti, il cui costo è triplicato. Intanto, si spreca oltre il 50% delle risorse idriche, tra continui guasti alle condutture, in tanti casi vetuste. Ne parliamo con il vescovo di Cefalù e delegato dei vescovi siciliani per i Problemi sociali, mons. Giuseppe Marciante.

Perché si è arrivati a una situazione di emergenza di siccità in Sicilia?

Non è la prima volta che in Sicilia si vive l’allarme siccità. Scorrendo la cronologia degli eventi climatici estremi in Sicilia dal 1970 ad oggi, quasi ogni dieci anni è stato registrato un periodo di scarsità di piogge seguito da siccità. Mi ricordo che da bambino mia mamma mi mandava alla fontana perché la riserva d’acqua, nella cosiddetta “giara” collocata sul terrazzo di casa era finita. Per giorni, insieme a mio fratello, facevamo questo servizio specialmente per l’uso domestico e igienico. Nel decennio 1950 – 1960 il sociologo Danilo Dolci condusse una delle battaglie più appassionate perché, sotto il dominio della mafia, l’acqua era diventata un affare e la si elemosinava. Dolci fece capire che la lotta per l’acqua aveva un alto valore simbolico come atto di liberazione dal potere mafioso. L’acqua liberata fu chiamata “democratica” perché appartenente al popolo e non più appannaggio di privati o, peggio, della mafia.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Col cambiamento climatico il fenomeno della siccità è diventato insostenibile perché diminuiscono le piogge e le temperature diventano sempre più calde. La gravità, soprattutto in estate, ha ormai raggiunto livelli insopportabili e ha messo a rischio tutto il settore agricolo, zootecnico e forestale profondamente provati anche dalla triste piaga degli incendi.

La situazione idrica è inoltre aggravata da deficienze strutturali che vanno dai sistemi di irrigazione dispersivi al numero insufficiente di invasi attivi o inservibili perché, negli anni, è mancata la manutenzione. A ciò si aggiungano anche la dispersione delle acque reflue, l’assenza di dissalatori e le condutture obsolete e danneggiate.

Quali interventi auspica?

Innanzitutto le cose più semplici. Prima di tutto è necessario limitare lo spreco dell’acqua: nel settore ortofrutticolo bisognerebbe utilizzare in modo intelligente e diffuso l’irrigazione a goccia e la coltivazione in serra. Aumentare poi il numero dei laghetti artificiali in modo da accumulare una riserva nel periodo invernale. Specialmente per l’agricoltura e gli usi civici bisogna riutilizzare le acque reflue degli impianti di depurazione così da risparmiare altre risorse preziose per cucinare e per l’uso domestico e igienico.

Auspico, per il fatto che la Sicilia sta in mezzo alle acque marine, che si valutino i vantaggi resi possibili dall’uso della dissalazione all’interno di un sistema integrato di fonti e da soluzioni di approvvigionamento.

Abbiamo già qualche esempio virtuoso: i due dissalatori inaugurati a Lampedusa e Pantelleria nel 2014 hanno sostituito l’approvvigionamento tramite navi cisterna, abbattendo notevolmente i costi e il rischio di restare a secco in caso di cattive condizioni del mare. La manutenzione delle condutture e degli invasi per evitare la dispersione che dal 30% oggi è stimata al 50%. Siamo ancora indietro rispetto a paesi come la Spagna, Israele e l’Arabia. Nelle Madonie esiste l’incompiuta diga di Blufi, un vero e proprio “monumento dello spreco”, specialmente oggi in un contesto in cui l’Isola fa i conti con la più grave emergenza idrica. Quest’opera avrebbe dovuto raccogliere le acque del fiume Imera e convogliarle in una vasta area interna così da alimentare le province che, più di tutte, soffrono oggi la siccità: Agrigento, Caltanissetta, ed Enna. Il progetto è degli anni ’70, ma i lavori iniziarono soltanto negli anni ’90 per poi interrompersi nel 2002. Da allora i lavori, costati ben cinquecento miliardi di lire, sono fermi. È stato distrutto un patrimonio agricolo espropriato e abbandonato. Per completare il progetto pare che servano ulteriori centocinquanta milioni di euro. Si farà mai?

Quale messaggio rivolge alla politica?

La politica deve operare in modo efficace ed economico: deve ben programmare gli interventi strutturali in parte descritti. Deve andare cioè oltre la gestione dell’emergenza come per gli incendi superando tempestivamente gli ostacoli burocratici. Bisogna valorizzare le competenze e la ricerca e operare in modo organizzato e coordinato attraverso la prevenzione; come in campo sanitario è meglio prevenire che curare. Auspico infine che gli Enti preposti vigilino con attenzione su eventuali speculazioni sull’acqua che possano danneggiare i cittadini.

Come può ciascun siciliano fare qualcosa?

Innanzitutto deve fortemente essere convinto che l’acqua è un dono e un bene prezioso e non va sprecata. Bisognerebbe ritornare a progettare le abitazioni come un tempo cioè con una riserva idrica. Ogni siciliano deve difendere la sua dignità col coraggio di lottare e partecipare alla soluzione dei problemi e, non ultimo, vivere la solidarietà anche nel consumo dell’acqua. Non posso non riferirmi a un’icona biblica commovente: quella della vedova di Sarepta (1Re 17,8-16) evocata da Gesù: “C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone”. (Lc 4,25-26). Al tempo di Elia vennero giorni di grande siccità e il Signore indicò al profeta la casa di una povera vedova dove avrebbe trovato ristoro. La donna condivise prima l’acqua, poi alla richiesta del pane disse: “Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”. Il profeta Elia apprezzo la generosità della donna e così la benedisse in nome di Dio: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”. La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia. Dove regna l’amore si attira la benedizione di Dio.

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