(da Palermo) – La chiesa della Cittadella del povero e della speranza, nel quartiere Decollati di Palermo, è stata costruita quasi interamente da migranti, soprattutto tunisini. E’ una “casa di preghiera per tutti i popoli”. L’entrata è stata una delle Porte sante del Giubileo della Misericordia. Appena si entra, sulla destra, c’è la tomba di fratel Biagio Conte, il “San Francesco di Palermo”, come amano chiamarlo i suoi concittadini. Fratel Biagio è morto un anno e mezzo fa, il 12 gennaio 2023, a causa di un tumore, in una stanzetta della missione di via Decollati. Aveva solo 59 anni. La sua presenza invisibile aleggia ovunque. Nelle parole dei fratelli e delle sorelle che lo raccontano. Nelle foto e statue a lui dedicate. Nelle opere che ha costruito per la sua “Missione di Speranza e Carità”, che ha salvato centinaia se non migliaia di persone da situazioni di emarginazione sociale. La sua missione iniziò negli anni ’80 alla stazione centrale e da allora non si è più fermato. Le cittadelle si sono moltiplicate (oggi sono otto le comunità, tra cui una per donne con bambini), offrono vitto e alloggio. Arrivano donazioni di case e terreni. Le attività fervono. In quella di via Decollati sono accolte 500 persone di varie nazionalità – migranti, poveri, ex detenuti, ex tossicodipendenti – che mangiano nella stessa grande sala mensa dove pranzò Papa Francesco il 15 settembre 2018 in occasione della sua visita a Palermo. La missione ha anche forte legami con l’operato di don Pino Puglisi. I due si conobbero il 15 settembre 1993, la mattina stessa del giorno in cui il parroco di Brancaccio venne ucciso dalla mafia, di sera, nella sua parrocchia. È come se Fratel Biagio ne avesse preso il testimone. Di recente è stata aperta anche una missione a Godrano, dove era in corso una guerra di mafia e don Puglisi era riuscito a mettere pace.
Bekir, tunisino di Sousse, pittore e decoratore, ha lavorato con fratel Biagio per 27 anni. L’incontro con il missionario, dopo aver avuto problemi con la giustizia, gli ha cambiato la vita. Ora è sposato con figli, e nonostante sia musulmano partecipa attivamente alla vita della missione. Con maestranze tunisine e indiane hanno iniziato a costruire la chiesa quasi a mani nude, senza l’ausilio di architetti. Bekir è l’autore delle icone copte dipinte a olio sulle pareti laterali interne. È lui a farci da guida nella cittadella. “L’altare è stato realizzato a mano con pietre trovate qui – racconta -. Le tavole della Via Crucis sono state scolpite da un ragazzo del Ghana che poi è partito per andare a morire nel suo Paese. Il mosaico sull’abside è stato fatto con il contributo di persone con disabilità. Ognuno ha voluto donare qualcosa”.
La tomba di Biagio Conte è una semplice pietra di marmo verde. Al centro c’è il logo della missione: un tronco d’albero tagliato da cui nasce un nuovo ramo, sorvolato da una colomba bianca. Sopra c’è la sua foto con l’inconfondibile sguardo azzurro, il sorriso aperto e le mani accoglienti che invitano alla preghiera. Sul marmo sono incise sue frasi molto significative. In sacrestia è pieno di dipinti e statue che lo raffigurano, una figura veramente iconica. Oggi il responsabile della missione è padre Pino, 67 anni, una delle persone più vicine a fratel Biagio insieme a fratello Giovanni. Una équipe lo aiuta a continuare la sua opera.
Una occasione per cambiare vita. “Quando siamo venuti qui con mia moglie eravamo senza casa. Biagio ci ha detto di pregare. Ora abitiamo qui dal 2018, siamo gli unici sposati”, dice Roberto Rossi, che vive nella Cittadella del povero e della speranza ed è stato portavoce di fratel Biagio. “Siamo tutti volontari – aggiunge -. Ogni fratello si responsabilizza. Chi fa il cuoco, chi sta alla porta. Alcune persone sono qui anche da 20 anni. Hanno cambiato vita. Sono diventati punti di riferimento per tutta la comunità. Ci sono anche tanti musulmani”. Nella cittadella vivono anche una decina di frati e suore che fanno voto di castità, obbedienza e povertà. La missione è una associazione pubblica di fedeli che ha avuto il nulla osta di Papa Benedetto XVI. Al momento ci sono due sacerdoti diocesani in pensione che danno una mano e alcuni seminaristi di Napoli. La curia di Acireale ha messo a disposizione alcuni diaconi, in comunione con la Chiesa di Palermo.
La missione sostiene anche un centinaio di famiglie povere che abitano a Palermo: le aiutano a pagare l’affitto, le bollette e altre spese quando sono in difficoltà, in cambio di mutuo aiuto. “La comunità è l’ultima soluzione per non finire in strada ma si cerca di fare il possibile perché non perdano la casa”, precisa Rossi.
Nella cittadella. Bekir e Riccardo mostrano il resto della cittadella: il panificio dove si produce il pane con il grano raccolto nei terreni di proprietà della missione, ad uso della comunità. Il laboratorio di falegnameria, di ceramica, quello dell’elettricista. Su due alti palazzi spiccano i murales con il volto di fratel Biagio, tra sorelle e fratelli indaffarati. L’ultima, imperdibile tappa, è la piccola stanza dove è morto il fondatore. A fianco un giardino recintato. Qui amava andare a pregare. E qui riposa, nella chiesa costruita dai migranti.