Parlare di famiglia, amore sponsale e matrimonio sembra ormai quasi un tema da corso serale in parrocchia, una preparazione svogliata finalizzata alla cerimonia in chiesa con parenti e amici; in una società poi che registra ogni anno un calo delle unioni e quello sempre più allarmante delle nascite. Eppure, o forse proprio per questo, ha senso e importanza iniziare a parlarne, nei luoghi in cui si vivono quotidianamente queste relazioni o si progetta di farlo; soprattutto in periferia dove ormai vive la quasi totalità delle persone che abitano in una città. A Corviale, all’interno del palazzo lungo un chilometro, si è fatto proprio questo: don Gabriele Petreni, della Fraternità dell’Incarnazione, ha voluto organizzare un incontro aperto a tutti, ma soprattutto alla comunità locale, per riflettere sul dono del matrimonio come progetto di resurrezione, di vita nuova. Ospite la giornalista e scrittrice Costanza Miriano. “La crisi della nostra vita di fede, la crisi della Chiesa – ha detto don Gabriele in apertura dell’incontro – passa essenzialmente dalla distruzione della vita familiare e matrimoniale. Annunciare il vangelo del matrimonio oggi è annunciare veramente la resurrezione di Cristo. C’è un’urgenza enorme di riscoprire il dono del matrimonio”. Durante l’incontro Costanza Miriano ha raccontato la sua attività nelle parrocchie di tutta Italia: un incontro a settimana, da dieci anni. Tante le storie ed esperienze raccolte nel suo ultimo libro: “Benedetto il giorno in cui abbiamo sbagliato – Manuale di manutenzione del matrimonio” e un cammino che è arrivato a coinvolgere migliaia di persone a cui ha dato il nome di “Monastero WiFi” che, con tutte le variabili che ha la vita di un laico, ha l’obiettivo di tenere dei punti fermi come il momento di preghiera durante la giornata e la partecipazione alla messa. Al termine dell’incontro abbiamo posto alcune domande alla Miriano.
Se la società scricchiola e i rumori sono sempre più forti, possiamo dire che questo sia dovuto in gran parte allo sgretolamento della sua cellula più piccola e importante, la famiglia?
Sì, anche se penso che tutto si radichi in una crisi di fede; i modelli proposti sono sempre più lontani da quello familiare, dalla stabilità, dal radicarsi in un luogo, in una storia, dalla fedeltà; un tempo forse c’era una fede più forte che aiutava ad opporsi a queste sfide contrarie e oggi siamo tutti un po’ più fragili rispetto ad altre suggestioni culturali.
Il suo ultimo libro è una sorta di manuale di manutenzione del matrimonio. Qual è il costo, in termini di impegno, di questa manutenzione? Ogni quanto va fatta?
Bisogna fare una revisione periodica, trovare dei momenti per la coppia in cui dedicarsi del tempo non necessariamente per parlare come vorremmo fare sempre noi donne, ma per fare delle cose piacevoli insieme, riscoprendo la piacevolezza di stare insieme perché uno dei tanti rischi è di trasformarsi in manager dei figli, della gestione della casa, delle questioni economiche; e dunque riscoprire l’importanza di stare insieme anche solo per guardare un tramonto. Manutenzione dunque è trovare un tempo per guardarsi negli occhi e trovare il piacere di farlo e poi magari trovare un momento per parlare che non sia aprire discussioni; staccare dal quotidiano ricordando che il matrimonio non è una cosa che va avanti da sola ma sulla quale occorre lavorare e soprattutto pregare, chiedere al Signore di darci la grazia di volerci bene l’uno all’altra.
L’uomo che ruolo ricopre in tutto questo?
Non dico che la donna faccia più fatica, ma a noi donne è dato il compito di tenere accesa la luce, di tenere viva la speranza; se c’è un uomo di cattivo umore, si può andare avanti ma se è la donna, la mamma, la moglie a perdere la stabilità, è più difficile: noi donne influiamo di più sul clima familiare; l’uomo fa tantissime altre cose, custodisce, taglia i rami secchi, dice i “no”, mette i paletti, ma il calore della famiglia, secondo me, viene più da colei che custodisce la vita.
Alla prima esperienza del Monastero WiFi hanno partecipato 2.000 persone, di queste, quante erano le donne? C’erano anche uomini?
Sì, erano presenti anche uomini, la percentuale era 70 a 30, molto maggiore rispetto alla media delle messe feriali, nelle quali sono presenti quasi solo donne anziane. È importantissimo fare comunità nella Chiesa, sempre con Dio al centro, ma avere relazioni, amicizie, farsi compagnia in questo cammino; e poi l’uomo mi sembra sia molto attratto dalle proposte serie di spiritualità; il prossimo incontro a San Pietro il 9 novembre sarà centrato sul digiuno, una proposta radicale rispetto al contesto in cui viviamo e secondo me gli uomini sono attratti da questa radicalità.
L’incontro si è svolto all’interno della Fraternità dell’Incarnazione, al primo lotto del famoso Serpentone, dove ogni giorno c’è accoglienza, ascolto e preghiera per tutti quelli che ne hanno bisogno. Don Gabriele ha risposto ad alcune nostre domande.
Perché è stato organizzato questo incontro qui a Corviale, all’interno del palazzo e della vostra Fraternità?
Da poco si è svolto in parrocchia il convegno della Caritas sulle povertà educative e l’origine di fondo del disagio dei ragazzi, che conosciamo molto bene, è la mancanza di una stabilità di affetti familiari. La radice del problema dell’educazione dei ragazzi per noi credenti nasce dalla difficoltà ormai di avere un papà e una mamma che si amino in maniera stabile. La nostra Fraternità da sempre ha contemplato e ha avuto al suo interno famiglie consacrate, quindi questa comunione, questo stile di vita familiare per noi consacrati è un modello di vita, di rapporti, un modello di verità, di confidenza. Quindi il tema del matrimonio per noi da sempre è parte integrante della nostra comunità. Oggi per me diventa parte fondamentale dell’annuncio di Cristo, del progetto di vita nuova di Cristo. Attraverso il gruppo della pastorale familiare della parrocchia abbiamo conosciuto Costanza e l’abbiamo invitata con piacere qui da noi.
Qui, in periferia, a Corviale, il problema dei legami familiari è più diffuso o è il contrario?
Credo che a Corviale ci sia il paradosso di un micro mondo con tante dinamiche ancora legate ad una cultura che possiamo definire di paese, pur trovandoci in una città, non presenti in altre parti del quartiere; qui abbiamo ancora delle storie di famiglie, di madri, di fedeltà, amore, disponibilità che a me ricordano quelle del passato. Non so se anche in altri luoghi ci sia ancora questa fedeltà tradizionale, culturale, radicata nel profondo, una fedeltà familiare presente anche in chi non è credente. Poi ci sono ovviamente tutte le problematiche che caratterizzano ogni quartiere ma ci sono anche tante storie di generosità e di dono totale che forse altri quartieri non hanno già più.