Istituti penali minorili. Lovato: “Più che sul carcere, per i ragazzi dobbiamo puntare su prevenzione e accompagnamento abitando le periferie”

“Credo che quanto è successo al Beccaria rientri in episodi orribili ma molto delimitati”, dice al Sir il volontario della Comunità Papa Giovanni XXIII. “Nell’Ipm di Acireale ho sempre visto la direttrice, gli educatori, gli agenti di polizia credere nei ragazzi, essere molto aperti al territorio e a tutte le attività che il territorio può offrire”. Le attività della cooperativa sociale “Rò la Formichina”

(Foto Marco Lovato)

Sono terribili alcune immagini diffuse dalla Polizia penitenziaria e tratte dal sistema di videosorveglianza dell’Istituto penale per i minorenni Cesare Beccaria di Milano, che hanno per vittima del pestaggio un giovanissimo. “È da una trentina d’anni che vado come volontario al carcere minorile e credo che quanto è successo al Beccaria rientri in episodi orribili ma molto delimitati”. A dirlo al Sir è Marco Lovato della Comunità Papa Giovanni XXIII. Da molti anni in Sicilia, è responsabile con la moglie Laura di una casa famiglia in cui, fino al Covid, ha accolto anche ragazzi provenienti dal carcere minorile, offrendo loro una diversa prospettiva di vita. È responsabile della cooperativa sociale “Rò La Formichina”, nata nel 2001 dall’esperienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, per supportare le case famiglia presenti sul territorio e dare una risposta concreta ai bisogni delle persone accolte dalla comunità. L’obiettivo di “Rò La Formichina”, infatti, è favorire il reinserimento sociale e lavorativo di persone che sono state escluse dalla società a causa della loro condizione fisica o del loro passato. La cooperativa risponde ai bisogni socio-assistenziali ed educativi delle persone con disabilità e dei ragazzi in situazioni di svantaggio. Allo stesso tempo, promuove l’inserimento lavorativo di ragazzi con procedimenti penali in corso e delle persone con disabilità, attraverso l’acquisizione di competenze professionali principalmente nei settori della falegnameria e dell’apicoltura.

(Foto ANSA/SIR)

Le violenze al Beccaria hanno molto colpito…

Vado spesso nel carcere minorile di Acireale. Le carceri minorili al momento in Italia sono 17, di queste 4 sono in Sicilia e due in provincia di Catania, già questo fa capire l’emergenza della criminalità minorile nel nostro territorio. Don Oreste Benzi diceva che nell’errore di una persona che sbaglia c’è l’errore di tutta la società, io l’ho pensato sempre per i ragazzini che incontravo in carcere, sono ragazzi che abbiamo relegato nelle periferie delle grandi città. I ragazzi che stanno al minorile hanno tutti la solita storia fotocopia: o vengono dalle periferie delle nostre città o sono ragazzi immigrati che non siamo riusciti a integrare nella nostra società. Purtroppo c’è un errore nel loro cammino: oggi mi viene da pensare che anche nei 25 agenti di custodia del Beccaria ci sia un errore di tutta la società perché abbiamo relegato al carcere risolvere un problema che abbiamo e che non vogliamo vedere.

Sono molti i ragazzi in carcere?

Oggi ci sono 500 minori nelle carceri minorili, era da tanto che non succedeva in Italia, questo ci fa capire che c’è un’emergenza che non vogliamo vedere. Sono triplicati i ricoveri nelle psichiatre infantili perché gli adolescenti stanno male, ci danno dei segnali veramente pericolosi che facciamo fatica a cogliere, che vogliamo risolvere con un colpo di spugna: nei confronti dei ragazzi che delinquono abbiamo inasprito le pene con il decreto Caivano, dando risposte forti con uno Stato duro, che non si piega, fa retate. Mandiamo i ragazzi nelle carceri minorili, ma non abbiamo dato una risposta di un esempio più forte come società in questi quartieri dove noi non ci siamo, dovrebbe essere più presente la Chiesa, dovrebbe essere più presente la società. In carcere, poi, magari non riusciamo a fare progetti educativi come si deve, quindi rimandiamo il problema, anzi li mettiamo in incubatrice, emarginiamo ancora di più questi ragazzi, diventa poi un problema la loro gestione. Negli ultimi anni ho visto nel carcere minorile ragazzi molto più violenti, molto più agitati, specchio anche delle crisi adolescenziali che abbiamo in questo momento.

Cosa sarebbe opportuno fare al posto dell’opzione carcere?

Credo che dovremmo puntare molto sulla prevenzione e ancora di più sull’affido familiare.

Dovremmo essere più disponibili ad appoggiare famiglie in difficoltà, con ruoli educativi di vicinanza, amicizia, dovremmo essere più attenti come Chiesa ad intervenire nelle nostre periferie. Il sogno di Papa Francesco della Chiesa in uscita è fantastico: questa Chiesa che esce e va ad abitare le periferie, non va a visitare, non va a fare volontariato, ma va ad abitare, a vivere con altre persone, non vede questi ragazzi come oggetto del nostro volontariato, ma come protagonisti della società da ascoltare e con cui camminare, dovremmo impostare così le nostre scuole, che andrebbero rivoluzionate, perché certi ragazzi non riescono a tenere il passo delle scuole. Sul territorio dovrebbero essere molto più presenti, oltre alle attività educative, anche quelle di cura, ma in tanti posti manca anche il medico di base, figuriamoci lo psichiatra. Insomma, dovremmo puntare su un discorso di cura, di aggregazione, è una ricetta a lungo termine, molte volte siamo abituati a questo colpo di spugna, ma non è il modo per operare nella nostra società.

(Foto Marco Lovato)

Cosa suggerisce, quindi?

Abbiamo accolto nella nostra casa famiglia e in altre case famiglia dei ragazzi in pena alternativa al carcere, sono state sempre esperienze molto belle, come cooperativa “Rò la Formichina” diamo borse lavoro ai ragazzi dell’area penale minorile, ho sempre visto dei ragazzi che hanno voluto riscrivere la loro vita, ho visto gruppi Scout che hanno accolto ragazzi dell’area penale che hanno fatto un cammino bellissimo. Bisogna ragionare anche all’interno della Chiesa: a volte mi sembra che confondiamo la pastorale giovanile con la pastorale degli studenti, ma ci sono dei ragazzi che hanno bisogno di percorsi completamente diversi, molto più vivaci, ma che hanno bisogno anche di più vicinanza, bisogna camminare assieme, bisogna legare la nostra vita con la loro, ci viene chiesto di rivoluzionarci completamente. Come Stato dobbiamo avere coscienza che alcuni ragazzi sono da contenere, quando un ragazzo è violento, continua a sbagliare, va fermato ma non va punito, agganciandolo per ripartire con un percorso nuovo, nuovi modelli, nuovi strumenti.

Inasprire le pene con un adolescente non funziona.

Mi ha detto che è da molti anni volontario in carcere: ci racconta la sua esperienza?

Quello che vedo di bello nel carcere minorile di Acireale è che si crede molto nei ragazzi; malgrado momenti veramente difficili che si attraversano, ho sempre visto la direttrice, gli educatori, gli agenti di polizia credere nei ragazzi, essere molto aperti al territorio e a tutte le attività che il territorio può offrire. In carcere ci sono ragazzi molto fragili, ci sono problemi enormi anche tra loro, ci sono anche situazioni pesanti, ma gli educatori hanno sempre creduto che si poteva ricominciare, non hanno mai perso la fiducia nei ragazzi nel proporre qualcosa di diverso rispetto alla detenzione. Penso che sia un richiamo anche per noi volontari, dovremmo essere molto più presenti. Vedo tante uova di Pasqua, tanti panettoni dentro il carcere, però durante l’anno non vedi persone che vengono a fare ripetizioni, che vanno a giocare a pallone, che vanno a vedere un film, che partecipano alla messa all’interno del carcere. Credo che ci sia bisogno di questo scambio molto più forte. Come casa famiglia abbiamo iniziato anni fa ad andare nel carcere minorile a giocare a pallone, a fare teatro, ma abbiamo capito che i ragazzi ci chiedevano di passare del tempo con loro, si è creata un’amicizia, abbiamo trovato una disponibilità bellissima da parte della direzione e dell’area educativa e ben presto ci hanno dato l’autorizzazione a entrare con i nostri ragazzi. Abbiamo iniziato con i ragazzi portatori di handicap e i bambini a fare teatro in carcere. I minori ristretti hanno dimostrato una grandissima maturità nell’essere attenti ai bambini e ai ragazzi portatori di handicap, è stato molto bello fare con loro le rappresentazioni, poi abbiamo iniziato a fare delle ripetizioni scolastiche, c’è stata la possibilità che i ragazzi potessero uscire, abbiamo accolto dei ragazzi che sono venuti nelle nostre case in pena alternativa alla detenzione perché potevano avere l’affidamento alla comunità. Questo però prima del Covid, adesso no. Sono stati sempre dei cammini molto belli, una volta al mese noi come casa andiamo alla messa in carcere minorile con i nostri ragazzi, si creano proprio dei percorsi di amicizia. Nel carcere di Acireale ho vissuto le preghiere delle varie religioni assieme, c’è una grande attenzione alle diverse fedi, la festa di Pasqua come per la fine del Ramadan, un grande rispetto per tutti e penso che questo abbiamo aiutato nella relazione.

(Foto ANSA/SIR)

E l’esperienza lavorativa in “Rò la Formichina”?

Anche nella nostra cooperativa sociale, mettere a lavorare fianco a fianco ragazzi portatori di handicap e minori ristretti tira fuori il più bello da questi ultimi, dare a loro l’opportunità di fare cose belle è quello che serve. Nella nostra cooperativa, abbiamo il settore del miele, vicino al carcere minorile di Catania, e la falegnameria, che è vicina al carcere minorile di Acireale, dove tantissimi ragazzi sono passati per fare un periodo di sei mesi come tirocinio, sono sempre state esperienze positive.

Con i ragazzi del carcere minorile stiamo facendo degli strumenti con il legno dei barconi dei migranti.

Saranno inseriti due ragazzi del carcere minorile insieme al nostro liutaio, abbiamo iniziato a fare chitarre con il legno dei barconi dei migranti, è un progetto molto bello in cui crediamo molto.

(Foto Marco Lovato)

Che riscontri avete con i ragazzi a cui date una possibilità lavorativa?

Dare a questi ragazzi la possibilità di fare qualcosa di diverso, credere in loro è importante, ma una volta che finiscono la pena devono essere accompagnati perché sono molto fragili, incentivando i servizi sociali e attività nel territorio per loro. Come Chiesa dovremmo essere molto attenti nel proporci a loro anche come presenza, seguendoli nelle loro famiglie, proprio quella Chiesa di cui parla Papa Francesco, molto viva, molto attenta a chi è più in difficoltà, avendo chiaro che abbiamo qualcosa di grande da proporre, qualcosa che è pienezza. Mi ha colpito una volta un ragazzo, che mi ha detto: “Basta, so già cosa non devo fare, perché me lo dicono tutti, ma ditemi cosa devo fare, datemi l’occasione di fare qualcosa di bello”. Questo ragazzo oggi è papà di tre bambini ed è educatore in una comunità. Ha incontrato, infatti, delle persone che non lo sgridavano per quello che faceva, ma gli hanno dato la possibilità di fare delle cose belle ed è un operatore stupendo oggi. Ma a 14 anni aveva iniziato con lo spaccio, cercava qualcosa di grande: o gli davamo Gesù oppure avrebbe continuato a cercare nella delinquenza qualcosa di più grande.

Il desiderio di Assoluto che tutti abbiamo anche questi ragazzi ce l’hanno fortissimo, ma spesso non sanno indirizzarlo.

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