Undici giovani pronunceranno il loro “sì” definitivo donando la propria vita al servizio di Dio e del prossimo. Oggi, 20 aprile, alle 18, nella basilica di San Pietro, saranno ordinati sacerdoti dal card. Angelo De Donatis, già vicario della diocesi di Roma, nominato da Papa Francesco penitenziere maggiore. Per il porporato sarà la celebrazione di saluto alla diocesi.
Sei gli ordinandi del Pontificio seminario maggiore: Lorenzo Colombo, Matteo Colucci, Rafael Malacrida, Florin Adrian Martian, Renato Pani, Fabio Pulcini. Tre gli alunni dell’Almo Collegio Capranica: Nicola Pigna, Salvatore Plastina, Francesco Scavone. Due del seminario Redemptoris Mater: Roberto Ibarra, Silviu Simionca.
In un’epoca di incertezze e cambiamenti,
la scelta del sacerdozio può sembrare controcorrente,
quasi una sfida alle logiche del mondo che privilegiano la sicurezza e il benessere individuale. Eppure, in questa sfida si cela una bellezza disarmante. “Proprio perché siamo in un contesto in cui una certa mentalità vuole farci credere che solo l’individualismo permette all’uomo di realizzare se stesso, il prete dice che solo il dono di sé che genera il dono di altre vite è la vera speranza, la grazia di un’esistenza – dice mons. Michele Di Tolve, vescovo ausiliare di Roma, rettore del Maggiore con il compito di rafforzare i legami e di tessere una rete di collaborazione tra le realtà di formazione al sacerdozio della diocesi di Roma –.
In un mondo dominato dall’individualismo e dall’egocentrismo, qui c’è una concreta e una oggettiva vita fondata su Gesù, su un incontro vero, reale, che si può raccontare, che può diventare storia. Un incontro con il Signore che attraverso la Sua Parola, l’Eucarestia, la preghiera, la vita della Chiesa, il servizio di carità, genera la vita
in una storia di salvezza per sé e per gli altri”. Le storie degli ordinandi sono un collage di esperienze uniche, diverse “quattro del pomeriggio”, ma è in queste diversità che si cela un inno alla speranza e all’amore misericordioso di Gesù. Il più giovane è Lorenzo Colombo, romano, 25 anni, sarà il più giovane sacerdote della diocesi. È entrato in seminario a 13 anni. La sua storia di vocazione inizia il giorno della prima comunione. “Ho sentito qualcosa di diverso nel mio cuore che non so descrivere – ricorda –. Quando partecipavo alla messa guardavo il sacerdote con ammirazione. Mi colpiva che durante la consacrazione ‘chiamava’ il Signore a manifestarsi nell’Eucarestia. Mi stupiva che Dio ascoltasse ‘il suo comando’”. Un cartello con su scritto “Vuoi essere vicino a Gesù? Diventa ministrante” gli ha provocato “la stessa gioia provata il giorno della Prima Comunione” dice. In questi anni non sono mancate le incertezze e le paure che però lo hanno “aiutato a confermare la scelta fatta”. Si è interrogato, ha “avvertito la fatica nell’accettare il silenzio di Dio, ma è proprio da quel silenzio che si rinasce uomini nuovi”.
Matteo Colucci, 30 anni, di Torre Gaia, immagina la sua prima Messa. La prima volta che ha avvertito la chiamata era aprile 2015. Partecipava all’ordinazione presbiteriale di un amico il quale “al termine della Messa disse: ‘se qualcuno sente la chiamata non abbia paura di rispondere’. Da lì è iniziato il mio cammino” racconta. Studiava Lettere alla Sapienza. Il suo desiderio “di amore gratuito andava però verso il Signore”. Durante il propedeutico, meditando la seconda beatitudine ha scoperto la vocazione “nella cura di un cuore ferito”. Fabio Pulcini, 35 anni, originario di Nembro, in provincia di Bergamo, ha avuto “delle belle testimonianze di vita”. A partire dai genitori. “Sposati per 47 anni, mi hanno trasmesso l’amore per la fede con il loro esempio di vita – dice –. Sono convinto che ogni vocazione nasce in famiglia, chiesa domestica”. Ha iniziato ad interrogarsi durante l’adolescenza, ma ha sempre “rimandato”. Dopo la laurea in giurisprudenza “mille domande” e la decisione di trasferirsi a Roma per farsi seguire da alcuni sacerdoti. Uscito dalla sua “comfort zone” e accompagnato nel discernimento, ha capito che “il Signore chiamava a servire la Chiesa di Roma. La mia vocazione è sbocciata nel silenzio della preghiera, dalla gioia di pregare per gli altri, per chi è nel bisogno e per chi non crede. In quel momento ho sentito il richiamo di Cristo”. Nicola Pigna, di Benevento, 31 anni, prima di entrare in seminario ha conseguito la laurea in giurisprudenza alla Luiss, un master in relazioni istituzionali, lavorava come consulente legislativo di diritto italiano e di diritto dell’Unione europea ed era assistente presso il dipartimento di giurisprudenza. Impegnato nella Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), di cui è stato presidente diocesano, e nell’Azione cattolica, ha iniziato a guidare i più giovani. “Curare l’annuncio della Parola di Dio per gli incontri ha fatto balenare in me l’idea di prendere in considerazione il sacerdozio, subito rimossa perché mi rendevo conto che era una cosa di non ordinario – afferma –. C’era la prospettiva di una vita professionale già avviata”. I suoi piani sono stati stravolti dal Signore. “Un impegno mi avrebbe portato via qualche anno da Roma, la Chiesa Madre della vocazione, il gruppo in cui era nata, quindi ho affrontato i miei interrogativi”. Tornare alle origini della chiamata gli provoca “un marasma di emozioni”. Salvatore Plastina ha 45 anni ed è il più grande tra gli ordinandi. È di Fuscaldo, in provincia di Cosenza. Ha sempre percepito che la sua strada fosse quella del sacerdozio ma non c’è mai stato chi lo “aiutasse a fare discernimento”. A Roma ha trovato “figure sacerdotali importanti” che lo hanno aiutato a “fare chiarezza”. Dal 2008 insegna disegno e storia dell’arte in un liceo scientifico. Il 2017 è stato l’anno del cambiamento. “Durante il mese ignaziano con un gesuita ho preso seriamente coscienza di ciò che il Signore mi chiedeva – prosegue –. Ad agosto sono passato di ruolo nella scuola, ad ottobre ho iniziato l’anno propedeutico”. Per molto tempo non ha raccontato nulla a colleghi e studenti. “Assolutamente no per vergogna – sottolinea –, ma il fatto di non dirlo prima mi ha concesso di entrare senza pregiudizio in alcune realtà e di avere un rapporto diverso con gli studenti che magari davanti ad un sacerdote sono ancora sul chi va là”. Roberto Ibarra, cileno, 33 anni, ha trovato in famiglia “la prima comunità di fede – afferma –. Sono il primo di 11 figli e i miei genitori mi hanno mostrato sempre, non solo a parole, la fiducia nella provvidenza di Dio”.
La “prima chiamata” è avvenuta nel 2011 durante la Gmg di Madrid con Papa Benedetto XVI. “La sera della veglia c’era una tempesta – ricorda –. Nonostante ciò il Papa decise di rimanere e di fare l’adorazione eucaristica. Subito la tormenta si è calmata e ricordo bene quel momento. L’ostia illuminata, quest’uomo anziano e un milione e mezzo di giovani tutti concentrati su di essa. Ho pensato che Lui era l’unica cosa per la quale valeva la pena dare la vita. Negli anni seguenti sono stato un po’ ribelle, avevo paura di dire ‘sì’ al Signore ma Dio ha avuto tanta pazienza con me”. Laureato in ingegneria civile, la svolta è arrivata dopo la morte improvvisa di una sua cugina. “Era mia coetanea – aggiunge – e la sua morte mi ha messo davanti all’urgenza di prendere una decisione. Bisogna rispondere al Signore adesso, non si può aspettare”.