Era il 17 luglio del 524 quando santa Galla, figlia del senatore romano Quinto Aurelio Memmio Simmaco, vide riempirsi di luce l’edificio a Portico d’Ottavia dove curava i malati di peste. Un miracolo vissuto da una donna vedova dopo un anno di matrimonio appena, convertita al cristianesimo e dedicatasi al digiuno ed alle opere di carità nei confronti dei più poveri, e raccontato dall’icona in lamina d’argento dorato e smalti Vergine Romanae Portus Securitatis, raffigurante la Madonna con Gesù bambino, che la leggenda narra essere stata posata da due angeli nelle mani di Papa Giovanni I per benedire la città e liberarla dall’epidemia. 1500 anni dopo quell’apparizione, nel giorno in cui si ricorda quel 1° febbraio 1703 in cui i romani tornarono a pregare davanti all’icona per il terremoto scatenatosi a Roma che lasciò la città miracolosamente illesa, iniziano nella parrocchia di Santa Maria in Portico in Campitelli i festeggiamenti per il XV centenario, che dureranno un anno intero, concludendosi il 1° febbraio 2025, con la possibilità di usufruire della speciale indulgenza giubilare concessa da Papa Francesco.
“È una storia legata alle tradizioni ecclesiali di Roma, della nostra città, per cui si risale al tempo di queste figure ormai lontane nel tempo, ma che costituiscono la prima testimonianza del Vangelo nella città di Roma. Santa Galla, patrizia romana, nobile romana figlia del prefetto della città Simmaco e poi il Papa Giovanni I, due figure che sono legate alla Chiesa e alla tradizione di Roma”. Sono le parole di padre Davide Carbonaro, parroco di Santa Maria in Portico in Campitelli, che si prepara a vivere un anniversario preoccupandosi di sottolineare il valore eucaristico, proprio per non ricordare un evento passato ma i gesti sempre nuovi che testimoniano la presenza di Cristo nella storia, offerto in parola e corpo da Maria. Il 1° febbraio alle 18.30, la messa inaugurale sarà presieduta dal card. Angelo De Donatis, vicario di Papa Francesco per la diocesi di Roma, con la partecipazione di una rappresentanza dell’amministrazione comunale che, seguendo la tradizione, consegnerà il calice votivo, per testimoniare la comunione tra la Chiesa ed il popolo di Dio. “Il fatto che i rappresentanti della città portino il calice dell’eucarestia, significa che c’è un legame profondissimo con quella carità, con quell’amore che è nell’eucarestia. Quindi l’eucarestia continua a generare il tessuto della nostra società”. Le parole del parroco che ha intenzione di chiedere alle parrocchie di Roma di fare memoria di questo evento attraverso il pellegrinaggio: “è lo strumento più semplice che noi viviamo in anticipo, prima dei molti altri pellegrini che da tutte le parti del mondo vivranno nel Giubileo del 2025 recandosi a Roma. Quindi è quello che Papa Francesco un po’ ha detto: questo anno 2024, che per noi è un anno centenario, diventerà una sorta di preparazione al Giubileo del 2025. E chi ci può aiutare a incontrare Cristo se non sua madre?”. Un anniversario che indica la Madonna come interceditrice nella preghiera, guardando alla luce che apparve nella casa di santa Galla 1500 anni indietro, come il segno di quella consegna mariana del corpo di Cristo, mensa eucaristica, e del corpo dei poveri, mensa della carità. L’accoglienza dei poveri e dei pellegrini è da sempre al centro dei servizi di Santa Maria in Portico in Campitelli, riconosciuta come una delle prime diaconie romane dove si svolgeva questo tipo di attività, ispirando l’operato della Caritas.
“L’espressione ci fa pensare semplicemente a quell’elemosina o all’offerta data ad un povero, ma la carità è qualcosa di più complesso. Con il termine ‘Caritas’ si traduce l’espressione biblica ‘amore’: è l’amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori, che a sua volta noi consegniamo agli altri. Cioè non consegniamo semplicemente una piccola offerta, oppure un dono, o accogliamo un povero in una casa; consegniamo proprio il Signore che è l’amore per eccellenza. Il compito della Chiesa non è un compito solo sociale. Compito della Chiesa è consegnare il corpo di Cristo e riconoscere il corpo di Cristo nei poveri. Quindi è una missio fondamentale questa, di cui la Chiesa ha coscienza fin dall’inizio”.
Questa la spiegazione di padre Carbonaro che spera in una Roma serva del Vangelo e serva quindi anche dei poveri: “Questi due elementi li ritroviamo insieme nella tradizione di santa Galla e sarebbe contenta la signora Galla, come si direbbe a Roma la domina Galla, se questa luce che è apparsa 1500 anni fa nella sua casa, continuasse ad apparire, a comparire nei cuori di tante famiglie, di tanti luoghi dove la carità non è vissuta in pianezza”. La storia di Santa Maria in Portico si lega da sempre ai romani pontefici e prosegue anche in tempi più recenti, testimoniata dalla presenza di figure come Pio IX, Giovanni Paolo II che il 29 aprile 1984 fece visita ai parrocchiani chiedendo loro: “Onorate con zelo questa secolare tradizione mariana”; ma anche Papa Francesco il 29 maggio 2016 volle l’icona in piazza San Pietro per la celebrazione della messa in occasione del Giubileo dei diaconi che lega sempre alla memoria della carità. “Abbiamo questa memoria anche di Santa Maria in Portico e il canto della fede della Chiesa di questi pontefici, regalatoci dalla loro testimonianza, dalla loro santa presenza”, le parole del parroco che ricorda come negli archivi del santuario vengano anche riportate le visite di Angelo Giuseppe Roncalli e di Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, non ancora eletti rispettivamente Papa Giovanni XXIII e Papa Paolo VI, in occasione di un congresso mariano organizzato dal card. Alfredo Ildefonso Schuster per il quattordicesimo centenario nel 1924. In 1500 anni le storie di fede e carità legate a questo luogo sono molte, testimoniate solo in piccola parte dagli ex voto che riempiono le bacheche attorno all’altare maggiore, proprio sotto l’icona mariana, ma la devozione dei romani a Santa Maria in Portico non si limita al passato, quando i pontefici ed il popolo chiedevano in pellegrinaggio l’intercessione di Maria per periodi particolari di situazioni come calamità, guerre, pestilenze, ma si sperimenta anche oggi. “Nel 1656, quando la città di Roma fu colpita da una terribile pestilenza, il Papa Alessandro VII ed il popolo romano si rivolsero alla immagine di Santa Maria in Portico che, secondo la tradizione, liberò questo territorio dal terribile morbo. Una cosa simile l’abbiamo vissuta qualche anno fa con la pandemia. Leggendo le antiche cronache che conserviamo di quel 1656, abbiamo potuto rivedere nel dolore e nella gioia, alcune situazioni che il popolo di Dio ha ripetuto. Per esempio, quando ci fu chiesto di chiudere le porte della chiesa, quell’evento fu fatto anche nel 1656, quando i Conservatori del Senato di Roma chiesero di chiudere le porte del santuario ed impedivano l’ingresso della gente che però si radunò, nonostante il contagio, a massa davanti al santuario. Io ho potuto vedere la stessa cosa quando ho chiuso le porte del santuario di Santa Maria in Portico durante la pandemia, la mattina trovavo i lumini davanti alla gradinata della chiesa o le offerte dei fedeli sotto la porta. Significa che questi gesti della presenza materna di Maria, nel corso del tempo, continuano quando ci si rivolge alla madre perché si possa essere liberati dal male spirituale, ma anche dal male fisico”.