Una cosa è certa, anzi due: il nostro mondo è davvero piccolo e ciò che ieri sembrava fantascienza oggi è realtà, ciò che aveva il sapore di esotico oggi abita di fronte a te, percorre le tue stesse strade, frequenta le tue stesse scuole. Qualcuno dice che si chiama globalizzazione, altri dicono emigrazione, io preferisco dire semplicemente umanità. In molti casi basta dire Chiesa. Umanità amata da Dio. Abitata dallo stesso Spirito che soffia dove vuole, non conosce barriere, attraversa ogni confine. Mi impressiona, e molto mi fa riflettere, la professione di fede pronunciata dall’ebreo che prende possesso della Terra promessa: «Mio padre era un Arameo errante». Come a dire: sono un sedentario che ha nel suo Dna sangue nomade. La tranquillità non mi appartiene; il fuoco che accende la mia vita è il viaggio. Da Abramo a Ulisse, da Giacobbe a Mosè a Gesù fino a quell’orma lasciata sulla luna. Inquietudine che porta a Betlemme i Magi, a Gerusalemme i pellegrini. Questo è in fondo ciò che noi chiamiamo Ecumenismo.
Ecumenismo dunque non è specialità per pochi esperti o buontemponi perditempo per non dire illusi Don Chisciotte che pensano – sperare sarebbe forse troppo – di poter realizzare nella realtà il mito della “convivialità delle differenze” (perfino per dire la preghiera che Gesù ci ha insegnato dobbiamo decidere quale testo usare!).
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci ricorda innanzitutto questo: siamo ancora troppo legati al nostro piccolo orticello. Siamo ancora prigionieri dei nostri limiti. Mettiamo al primo posto la nostra, individuale prima e confessionale poi, percezione del Mistero, forse dovremmo avere il coraggio di dire la “nostra” verità, quella che assume le sembianze di un’ancora cui aggrapparci o di una fortezza in cui nascondersi e difendersi. Ecumenici sì ma solo se con ecumenico si intende: se torni all’ovile ti accolgo (poi vediamo come). Non è questa la Chiesa, quella che ha radici nel Vangelo e non nella “mia/nostra” dottrina. Cattolica non è sinonimo di “Romana” o “papista”, è molto di più e tutte le confessioni e le tradizioni credono e professano la Chiesa Cattolica.
Per questo mi sembra molto significativo il passo evangelico suggerito dai cristiani del Burkina Faso per quest’anno: la parabola del Buon Samaritano. Lo sguardo sul povero, sul bisognoso che dice il mio essere discepolo – «è meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo», diceva Ignazio di Antiochia – e che ci fa conoscere al mondo per quello che siamo, cristiani appunto. Poi si scoprirà a quale Chiesa apparteniamo.
Nel messaggio inviato al patriarca di Costantinopoli Bartolomeo lo scorso 30 novembre in occasione della festa dell’apostolo Andrea, Papa Francesco scrive che “è bene notare che oggi non ricordiamo tanto le parole e le affermazioni di quei Pastori profetici, quanto, soprattutto, il loro caloroso abbraccio”.
Possiamo scrivere libri, organizzare convegni e conferenze ma non possiamo dimenticare che il dialogo ecumenico non si fa mai fra istituzioni neutre ma fra persone in carne ed ossa, con i loro limiti e i loro difetti. Si può essere integerrimi, senza macchia né difetti e passare accanto al moribondo tirando dritto verso Gerico. Ecumenismo è prima di tutto abbraccio, è amicizia. Dialogo fatto guardandosi negli occhi non attraverso uno schermo e una tastiera. Gli abbracci virtuali non cambiano la vita di nessuno: né di chi lo offre né di chi lo riceve.
Ecumenismo dunque è prossimità e coinvolgimento: come puoi tu presbitero dire allora che c’è già chi se ne occupa e io ho tanto da fare (nel mio orticello, s’intende)? Come puoi tu catechista non interessarti di ecumenismo quando i tuoi ragazzi a scuola, in oratorio, in palestra… hanno amici e compagni ortodossi e protestanti? Come puoi tu cristiano dire cosa c’entro io con gli ortodossi e i protestanti?
Non si tratta di essere specialisti né idealisti o sognatori: si tratta semplicemente di vivere senza astrarsi dalla realtà, senza chiudersi in una torre d’avorio. Si tratta, come ricorda ancora Francesco, di abbracci. Di fraternità. Di cammino. “Di fatto, è molto significativo che questo cammino di riconciliazione, aumentando la vicinanza e superando gli ostacoli che ancora impediscono la piena e visibile comunione, sia iniziato con un abbraccio, un gesto che esprime in mondo eloquente il reciproco riconoscimento di fraternità ecclesiale”. Ecumenica è la Chiesa. Il resto è, o rischia di essere, setta.