Aiutare i ragazzi a tirare fuori il meglio di sé e guidarli verso nuove prospettive di vita è ciò che fa la comunità Kayros. Nata nel 2000 a Milano in una parrocchia della periferia, su iniziativa di don Claudio Burgio e di alcune famiglie, parte come progetto di accoglienza per minori stranieri non accompagnati.
Dal 2007 la comunità si apre anche all’accompagnamento dei ragazzi del penale minorile e ad oggi conta circa 50 ospiti.
L’intento è quello di mettere il minore in condizione di sperimentarsi all’interno di un sistema di relazioni vicine ad una normalità di vita che per molti diventa un nuovo inizio.
Daniel, 31 anni, conosce don Claudio tra le mura dell’Istituto Penale per minori di Milano, il Beccaria. Un incontro che avviene grazie ad una passione che lega entrambi: il calcio. In quel periodo don Claudio è cappellano al Beccaria e dopo aver visto giocare il ragazzo in una partita di calcio lo nota, lo avvicina e gli dice: “Tu devi per forza venire da me, perché noi abbiamo una squadra e dobbiamo vincere il campionato. Mi serve uno come te”. È da qui che comincia il cammino di rinascita di Daniel all’interno della comunità del sacerdote.
“Sono arrivato in Kayros, nel 2012 dopo quasi tre anni di carcere in affidamento in prova – ricorda Daniel. Ho vissuto in comunità un anno e mezzo, dove ho terminato di scontare la mia pena. Successivamente, sono inciampato di nuovo, ed essendo maggiorenne, sono stato mandato a San Vittore”.
Inciampa, cade ma si rialza. In comunità impara a relazionarsi in maniera autentica e consolida il rapporto con don Claudio. Da maggiorenne chiede al sacerdote di poter essere riaccolto per riprendere gli studi e da privatista consegue il diploma. Supportato dal don e da quanti sono con lui e grazie ad una borsa di studio, si iscrive all’università e si laurea in scienze dell’educazione. Nel frattempo, comincia a lavorare nella stessa comunità di cui è ospite e, terminato il percorso penale, torna a lavorare come educatore in Kayros per altri tre anni.
Per Daniel non è stato facile essere assegnato a Kayros, perché gli assistenti sociali e gli educatori ritenevano che la comunità fosse troppo morbida e con regole troppo flessibili, per uno come lui. Ma, come dimostra la sua storia, le cose sono andate diversamente “perché Kayros è una comunità che scommette sulla libertà dei ragazzi – testimonia Daniel -, cha dà fiducia, ma richiede responsabilità”.
Gli fa eco don Claudio: “la solitudine e la sfiducia nel mondo adulto segnano profondamente la storia di questi ragazzini che cercano di cavarsela da soli, ed è per questo che poi facilmente tendono a delinquere, e magari intraprendono percorsi devianti”.
Il tempo speso tra i ragazzi insegna che la cattiveria non è innata.
“Abbiamo visto in questi anni che un ragazzo quando ritrova la verità, quando sa misurarsi anche con i propri sbagli, poi effettivamente riemerge e intraprende percorsi virtuosi. La cattiveria diventa uno strumento inconsapevole a volte per cercare di farsi notare, per cercare di essere visibili di fronte al mondo adulto. Noi adulti dobbiamo ascoltare il grido degli adolescenti di oggi. Nessun tipo di buonismo, anzi ci vuole molta fermezza. Però, questi ragazzi sono i primi a non credere nelle loro capacità”.
Gli strumenti a disposizione per raggiungere questo obiettivo sono molti: la musica, lo sport, il teatro, l’incontro con l’altro. Esempi di linguaggi grazie ai quali i giovani riescono a dare voce ai drammi che segnano le loro vite. Sui muri delle case dove vivono gli ospiti della comunità e sugli striscioni degli eventi si legge una frase di don Claudio: “Non esistono ragazzi cattivi”. Non è uno slogan, né una frase fatta. A testimoniarlo sono i racconti di chi ha voluto accettare la scommessa della libertà, vincendola, come Daniel.