Lo ammetto: uscire di casa alle 22.30, passati ormai da un bel po’ i 20 anni, non è del tutto semplice. Ma c’è chi questo lo fa ormai da quasi un anno e non per andare a ballare ma per andare a prestare un po’ di assistenza umana a tante persone che, nel corso di un lungo viaggio partito da lontano verso l’Europa, si trovano a transitare a Gorizia e a dover pernottare in città, senza un luogo dove potersi soffermare. Stasera ho appuntamento con questi volontari, non facenti capo ad un’associazione ma uniti semplicemente dalla voglia di fare qualcosa per chi non ha un posto dove trascorrere la notte, per rendere queste ore di attesa almeno un po’ meno complicate. Mi bevo quindi un caffè e, in questa serata d’inizio settembre, mi avvio verso la città. Non fa ancora freddo ma ho fatto bene a portare con me una felpa, tra un po’ mi servirà. Realizzo che io sono fortunata ad avere con me quell’indumento confortevole per stasera… qualcun’altro probabilmente non è così fortunato. Arrivo al magazzino dove il gruppo di volontari conserva qualche riserva d’acqua, succhi, un po’ di indumenti di ricambio e qualche coperta e ad attendermi c’è Massimo Bressan (nelle prossime pagine un’intervista con lui), che di questi volontari è un po’ il portavoce. Mi fa vedere il magazzino e mi racconta di come, purtroppo, tra poco dovranno spostare il materiale conservato, dal momento che l’associazione cittadina che dà loro ospitalità inizierà delle attività e necessita dello spazio totale della propria sede. “Vorremmo poter trovare qualcosa, magari vicino alla zona della Stazione, per noi logisticamente più pratica dal momento che è lì che avviene il nostro servizio. Purtroppo non è così semplice e i costi per l’avvio e il pagamento delle utenze rappresentano qualcosa che va preso molto in considerazione. Speriamo di trovare presto una soluzione”. Prendiamo un po’ di viveri e ci avviamo quindi verso la Stazione ferroviaria di Gorizia, dove il gruppo spontaneo presta il suo servizio di assistenza. Accanto ad esso, due volte a settimana, anche alcuni volontari dell’UP Porta Aperta e di alcune associazioni cittadine, che incontrano i migranti in stazione offrendo loro la possibilità di fare una doccia in Casa San Francesco, in un servizio offerto dalla Caritas diocesana.
La stazione
Arriviamo e ad aspettarci ci sono Francesca, un’altra Francesca, Livia e Saeed. Più tardi ci raggiunge anche Alessandro. Francesca è con il gruppo dall’inizio delle sue attività di assistenza, mentre gli altri si sono uniti nel corso dei mesi. Livia si trova in Stazione per portare un po’ di alimenti, ma poi decide di soffermarsi con noi. Il gruppo dei volontari stasera è eterogeneo, Massimo e Livia sono “i grandi” del team, gli altri sono tutti studenti tra i 18 e i 25 anni circa. Chiedo loro come sono venuti a conoscenza dell’esistenza di questo gruppo: con il passaparola, tramite i Social o tramite amici e conoscenti che si trovavano a prendere l’ultimo treno della sera per rientrare a casa o il primo del mattino per arrivare in città. Il desiderio di essere utili e di dare un po’ di conforto umano ha fatto il resto. La serata è particolarmente tranquilla, attorno alla stazione ci sono una ventina di ragazzi, mi colpisce il fatto che siano tutti estremamente giovani. Dicono di avere 18, 19, 20 anni, ma ovviamente nessuno è certo che questo sia vero. Vinta la prima paura, dopo aver compreso che non devono pagare nulla, accettano volentieri un po’ di succo di frutta, qualche merendina e qualche biscotto. Pochi parlano inglese e altrettanti pochi se la sentono di scambiare due parole (preferiscono rimanere a loro modo “invisibili”). Provengono da Pakistan, Afghanistan e Marocco. Proprio tre giovanissimi marocchini scambiano qualche parola con noi: si sono incontrati lungo la Rotta balcanica, che hanno intrapreso in modalità differenti (chi l’ha fatta completamente a piedi, chi ha avuto modo di raggiungere la Serbia via aereo) e ora desiderano stabilizzarsi in Europa. Uno di loro vorrebbe fermarsi in Italia, ha paura del razzismo ma sente che qui potrebbe creare qualcosa, gli altri proseguiranno uno per la Germania, l’altro per la Spagna, dove li attendono alcuni conoscenti. Tutti i ragazzi presenti in stazione viaggiano leggeri, sulle spalle solo uno zainetto “sgonfio”, segno che contiene poco o nulla, salvo tante speranze.
I volontari
Mentre distribuiscono bicchieri di succo, scambio qualche parola con i volontari. “Oggi è una serata tranquilla – mi raccontano – ma abbiamo avuto nottate anche con 50 persone e spesso anche con la presenza di bambini molto piccoli. Non ci sono infatti solo richiedenti asilo uomini ma anche tante persone in transito e queste spesso sono intere famiglie con figli al seguito. A volte si presentano anche persone con la scabbia, proprio recentemente abbiamo trovato un bambino colpito da questa malattia. Si da un po’ di assistenza medica, qualche pomata apposita, poi al mattino ripartono per il loro viaggio”. “Quando riusciamo a parlare con loro, dopo aver vinto la loro resistenza, spesso scopriamo che sono così reticenti perché molte volte, durante il loro percorso, si sono scontrati con furti, botte e percosse anche da parte delle Forze dell’Ordine di altri Paesei. Questo è anche uno dei motivi per cui si accertano sempre che, per le cose che offriamo, non vogliamo nulla in cambio: hanno paura di furti e raggiri”. Mi raccontano poi che ultimamente le presenze sono un po’ cambiate: i richiedenti asilo tendono a soffermarsi maggiormente nella zona di Casa Rossa, in modo da essere già lì la mattina successiva, mentre in stazione rimane solo chi, il mattino dopo, prenderà il primo treno disponibile. Il servizio di volontariato, essendo una serata tranquilla, quel giorno termina verso le 24.00. Saluto i volontari, li ringrazio e mi avvio verso casa. Il mattino dopo accendo il telefono e trovo dei messaggi di Massimo: ha voluto aggiornarmi sul fatto che, mentre stavano per andare, sono arrivati alcuni ragazzi afghani giovanissimi, dai 14 ai 17 anni. Ci sentiamo anche il giorno dopo: quella sera infatti erano presenti in stazione di nuovo delle famiglie con bambini; una è riuscita a salire sull’ultimo treno diretto a Venezia, l’altra, giunta più tardi, ha trascorso la notte lì attorno, con un bimbo di 2 anni e una bimba di 3 anni e mezzo. “Stavamo poi per andarcene quando sono arrivate tre donne con i loro figli, 9 in tutto, dagli 11 ai 21 anni, fuggiti dalla Russia per evitare che i ragazzi dai 16 anni in su venissero chiamati al fronte – racconta Massimo -. In tutto questo c’è anche una cosa bella: queste persone hanno chiesto informazioni a due giovani goriziane incontrate lungo la strada; siccome non riuscivano a spiegare loro il tragitto da compiere verso la stazione, li hanno accompagnati. Sono state davvero premurose e gentili”.
Casa Rossa
a sera della mia visita ai volontari scelgo di allungare il percorso di rientro verso casa e passare alla Casa Rossa, per osservare anche lì la situazione. Vedo sulle aiuole del piazzale una distesa di cartoni, con sopra distesi decine e decine di uomini; passano lì la notte. Il giorno seguente ripasso e vedo che, nel boschetto adiacente, si è anche creata una zona di riposo con alcune tende per proteggersi dal sole, ancora molto caldo. Tra qualche settimana le temperature scenderanno, cosa succederà poi? Dove troveranno riparo, se lo troveranno, queste persone? Il timore è che il problema semplicemente si sposti da un’altra parte, senza giungere mai ad una vera soluzione.
(*) La Voce Isontina