Al di là del chiasso mediatico, il drammatico episodio di violenza sessuale noto ormai universalmente come “lo stupro di Palermo” si presta ad alcune riflessioni. La prima, ovviamente, riguarda il persistere – al di là di tutte le conquiste di civiltà che hanno portato a livelli prima mai raggiunti la parità tra i sessi – di una cultura maschilista per cui la donna è oggetto di possesso e di piacere. E a rappresentare questa cultura non sono anziani condizionati da una educazione ormai superata, ma giovani tra i 18 e i 22 anni (uno, anzi, minorenne).
Non si tratta dunque di un residuo del passato, ma di un risvolto inquietante della stessa società “progredita”, che da un lato celebra la dignità delle donne, dall’altro continua tranquillamente a esprimere forme inaudite di violenza – in particolare nella esibizione e nella manipolazione del corpo femminile, ridotto ad oggetto di business e di consumo – verso cui siamo tollerantissimi.
Una seconda considerazione. Gli indiziati sostengono di avere agito col consenso della ragazza, ma non è solo il fatto stesso che fossero in sette ad approfittarne a contraddire questa versione: tutte le testimonianze concordano nel descrivere la vittima come una persona non padrona di sé per l’eccesso di alcool. Sostenere che fosse consenziente, in quelle condizioni, è assurdo. Che sia stata fatta ubriacare intenzionalmente, come da alcune narrazioni risulterebbe, o che lo abbia fatto di sua iniziativa, è chiaro che non era in grado di fare una scelta libera. E ne è una conferma il fatto che, appena tornata lucida, ha subito sporto denuncia facendo i nomi dei tre aggressori che conosceva, da cui poi si è risaliti agli altri.
Si parla molto, oggi, di libertà, soprattutto da parte dei più giovani.
C’è da chiedersi se ci si renda conto abbastanza delle condizioni che la rendono possibile, che non sono solo esteriori, ma innanzi tutto interiori ed implicano una assunzione di responsabilità prima di tutto verso se stessi. Abbandonarsi alla droga o agli alcolici comporta il suicidio della libertà.
Una terza riflessione, che può apparire marginale, ma che in un certo senso è forse ancora più agghiacciante, riguarda il fatto che questo spaventoso episodio di violenza sia diventato uno spettacolo, secondo lo stile ormai dominante nella nostra società, dove la realtà è ormai identificata con la sua rappresentazione virtuale. Lo stupro è stato filmato in diretta da uno dei violentatori e diffuso in rete. Dove si è scatenata una caccia al video che lo ritraeva da parte di migliaia di utenti di Telegram, ansiosi di essere anche loro partecipi del divertimento. Con l’ovvia conseguenza di mettere alla gogna innanzi tutto la vittima della violenza, che, oltre a subire quella dei sette energumeni che hanno abusato fisicamente di lei, si trova ora massacrata da quella dei social che ne calpestano il pudore e la fanno diventare di nuovo “oggetto”.
Un’ultima considerazione riguarda l’ossessivo collegamento tra questo terribile episodio e la città di Palermo. Certo, è normale che si faccia rifermento al luogo fisico dove lo stupro si è svolto. Ma non ricordo nessun caso in cui si sia tanto ripetuto, per giorni e giorni, una espressione come “lo stupro di Milano” o “lo stupro di Firenze”. E sì, proprio in quest’ultima città se ne è recentemente verificato uno i cui autori, pochi giorni fa, sono stati ritenuti non punibili dal giudice perché avrebbero commesso “un errore di percezione del consenso”. Una formula che richiama tutte le ambiguità di cui si sta discutendo per quanto è accaduto nel capoluogo siciliano. Anche se con un’eco mediatica immensamente inferiore.
Il fatto è che il problema della violenza sessuale riguarda tutte le grandi città. Mentre l’impressione che si ricava, da chi ha seguito i giornali e i social in questi giorni, è che il fenomeno sia una peculiarità di quella siciliana.
Dopo essere stata troppo a lungo identificata come “la città della mafia”, Palermo corre il rischio di passare ora come “la città dello stupro”.
Palermo non è né l’una né l’altra. Ha tanti problemi – che dovrebbero essere più presenti sulla stampa nazionale -, ma è anche un centro di grande civiltà, per la sua storia e per le sue tante risorse di umanità e di cultura, che emergono soprattutto nei momenti difficili. Come in questo, che ha visto un corteo originariamente promosso dall’associazione femminista “Non una di meno”, ma ingrossatosi via via col passa parola, che ha sfilato per il centro storico per gridare la sua protesta e testimoniare la sua solidarietà alle vittime.
In un momento in cui il Sud rischia di essere emarginato anche istituzionalmente, non è forse superfluo ricordare tutto questo e sperare che unendo le loro forze tutti gli italiani, siano di Palermo, di Firenze o di Milano, riescano a sconfiggere non solo gli effetti, ma le cause della cultura della violenza sulle donne.
* responsabile del sito della Pastorale della cultura dell’arcidiocesi di Palermo