L’estate per la maggior parte dei ragazzi è tempo di riposo dalle fatiche scolastiche, di svago, di mare o montagna e di viaggi, se le entrate familiari lo permettono, di uscite con gli amici… Tempo libero da riempire, per lo più, in modo piacevole. Non è così per i ragazzi rinchiusi, per aver commesso qualche reato, in un Istituto penale per i minorenni (Ipm): d’estate le attività prevalentemente si fermano e bloccata in una cella è anche la vita. Dell’esperienza dell’Ipm di Bologna parliamo con il cappellano, don Domenico Cambareri.
Don Domenico, come sta andando questa estate?
L’estate di per sé è sempre il momento peggiore per tutte le carceri, tanto più per un minorile. La situazione è resa ancora più difficile dal fatto che dall’autunno scorso l’Ipm di Bologna è stato portato al doppio delle sue possibilità. Adesso sono detenuti circa 47 ragazzi. In Italia ci sono 17 Istituti minorili con più o meno 400 ragazzi, quindi Bologna ha più del 10%: per i numeri di un minorile tantissimo. L’Istituto sarebbe ottimale con 30 posti. Abbiamo in Ipm ragazzi dai 14 ai 23 anni: il primo piano è riservato ai minorenni (14-18 anni), il secondo piano ai maggiorenni (18-25 anni). Oltre ai grandi numeri, a luglio e agosto si ferma la scuola, inizia il turn over sia della Polizia sia degli educatori per le ferie, le attività, quindi, sono ridotte, la possibilità di seguire in ragazzi è minore: di conseguenza i giovani stanno più tempo in cella, senza fare nulla, così aumenta il disagio.
Sono ragazzi che dovrebbero essere stimolati; sono ragazzi “complicati” e tenerli reclusi in quella maniera ha poco senso: il caldo, il sovraffollamento, le poche attività creano problemi.
Inoltre, sono tantissimi, siamo credo sopra il 50%, i minori stranieri non accompagnati, ragazzi appena giunti in Italia che hanno commesso alcuni piccoli reati, che sono reclusi, ma non hanno una famiglia che li possa seguire. Dunque, una situazione un po’ pesante, soprattutto con la recrudescenza post Covid con il disagio giovanile che è esploso sotto gli occhi di tutti e ha riempito le carceri di fatto.
Nel periodo estivo resta qualche attività?
L’unica attività che si svolge anche d’estate è quella sportiva che viene condotta dall’Uisp (Unione italiana sport per tutti), si fanno attività di sport di gruppo. Invece, la ristorazione d’estate è sospesa, per cui i ragazzi sono proprio fermi. Quando tutte le attività sono al completo è previsto anche un percorso di professionalizzazione dei ragazzi e uno degli indirizzi è proprio la ristorazione. Fanno corsi di cucina e una volta al mese su prenotazione il carcere si apre per una sorta di ristorante per il pubblico, i ragazzi possono cucinare e servire ai tavoli. Tra le attività, quando si è a pieno regime, c’è anche l’Istituto per l’istruzione professionale dei lavoratori edili della Provincia di Bologna (Iiple), un corso di carpenteria e muratura, si occupano della manutenzione del carcere stesso e intanto imparano delle tecniche di piccola carpenteria. Poi ci sono la scuola di alfabetizzazione, scuola media e scuola superiore. In autunno quando riprendono le attività i ragazzi sono più stimolati.
In Ipm si è guardata la Gmg?
I ragazzi italiani sono pochi da noi, hanno commesso i reati più gravi, omicidi, sono situazioni difficili. Io ho indicato di guardare in tv la Gmg.
In televisione hanno seguito la veglia del Papa a Lisbona, ne abbiamo parlato.
Io avevo anche chiesto se c’era la possibilità di portare una rappresentanza di questi ragazzi alla Giornata mondiale della gioventù, ma è stato giuridicamente impossibile perché non si potevano portare all’estero. Quello che mi ha colpito è che anche nei ragazzi musulmani ma nati in Italia, guardando le nostre immagini di Chiesa e in particolare la Gmg, si riaccende qualcosa. Perché in qualche modo i ragazzi musulmani nati in Italia hanno incrociato le nostre parrocchie. C’è chi dice che ha frequentato l’Estate ragazzi in una parrocchia o di aver conosciuto un prete. Gli italiani, invece, danno l’idea di quanto il primo problema di questi ragazzi sia innanzitutto l’assenza di adulti. Loro non hanno mai conosciuto o hanno conosciuto sporadicamente adulti capaci di accompagnarli in esperienze significative. La Gmg ha fatto emergere, come in uno specchio, questo: i nostri non hanno mai provato cosa significa avere adulti che accompagnano i ragazzi in un’esperienza significativa; se hanno conosciuto degli adulti li hanno conosciuti solo per la violenza oppure li hanno ingannati, li hanno usati per lo spaccio, per le rapine.
Vengono volontari, anche giovani, all’Ipm?
Noi abbiamo storicamente – vengono anche adesso anche se in maniera più asciutta nei numeri – un’associazione che si chiama “Uva passa”, che raccoglie diversi ragazzi. Esistente già da prima del mio insediamento come cappellano 3 anni fa, è un’esperienza di volontariato legata alla presenza dei Dehoniani nel carcere minorile. Loro vengono e fanno soprattutto animazione, giochi da tavola, attività il sabato o la domenica. Si crea una familiarità all’interno dell’Ipm, per cui possono anche fungere da strumenti utili per gli accompagnamenti.
Dopo la Gmg, l’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, don Raffaele Grimaldi ha invitato proprio i giovani a farsi volontari nelle carceri. È importante questa presenza di volontari coetanei dei ragazzi detenuti?
Assolutamente sì, perché credo che costituisca una ricchezza reciproca. Perciò, quando ho la possibilità, prendo i ragazzi in permesso premio con me e faccio incontrare i ragazzi “di dentro” e i ragazzi “di fuori”. Questi ragazzi hanno delle storie che, se condivise, possono fare bene anche ai nostri che sono fuori. La cosa più importante è la continuità. A volte è difficile con i ragazzi assicurare la continuità. I ragazzi “di dentro” hanno una fase di studio delle persone che entrano in carcere, io stesso per i primi mesi sono stato soppesato, loro di indole non si fidano di nessuno per le storie difficili che hanno vissuto, quindi io dico sempre che chi ha voglia di fare il volontario – e ne abbiamo bisogno – deve volerlo fortemente, deve essere una scelta radicale, perché poi i ragazzi detenuti si affezionano. La cosa più bella del servizio in Ipm è questo: vinta la diffidenza si affezionano alle persone che vogliono loro bene e sanno dare tanto. Quindi venire meno dopo poco è un ulteriore dramma per loro, un trauma, perché hanno già vissuto la dolorosa esperienza di essere abbandonati dagli adulti o da qualcuno. Quindi, chi vuole fare il volontario deve vivere una fase di preparazione in cui si chiede di mantenere come appuntamento fisso la visita all’Ipm nella propria agenda. Infatti, nell’Ipm non si organizzano mai visite o iniziative estemporanee, perché non è uno zoo, cerchiamo sempre di creare una connessione prolungata, quando si ospitano i ragazzi da fuori. Nei giorni scorsi ho portato un ragazzo dell’Ipm a un campo di Azione cattolica per passare una giornata insieme ed è stato molto bello. Davvero c’è ricchezza per tutti. Così è stato anche per me: questi ragazzi mi hanno permesso di vedere con i loro occhi un mondo che per me era invisibile, pur essendo prete, attento a certe realtà. C’è tutto un mondo di questa subcultura giovanile abbandonata e che la Chiesa stessa fatica a intercettare.
Ci sono ragazzi dell’Ipm che partecipano alla messa?
I momenti ufficiali – e questo è bello – sono frequentati dai ragazzi cattolici, da giovani cristiani – ci sono anche alcuni dell’Est, quindi ortodossi -, ma anche musulmani. Io celebro la messa e anche alcuni ragazzi musulmani chiedono di partecipare e pregano con noi la preghiera dei fedeli, uno dei momenti in cui invito a pregare per le famiglie. E fanno questo perché nel contesto del carcere prevalgono le relazioni sulle differenze. Siccome c’è un bel clima con me e con suor Lucia, religiosa salesiana che collabora con me, loro sanno che per noi è importante e partecipano ed è sempre un bellissimo momento. Paradossalmente riprendendo in mano la propria vita – e questa è la differenza con i ragazzi fuori che danno per scontato di aver una vita da costruire – in Ipm è il problema quotidiano: come costruire la mia vita futura dopo un’esperienza così estrema, quindi anche la fede per chi ce l’ha oppure per chi la riscopre ha la sua dimensione e prevalgono le relazioni e quindi anche i ragazzi musulmani partecipano in virtù del fatto che con me e suor Lucia si è creata una relazione e sanno che quello è un momento qualificante della nostra presenza e vengono, pregano con noi con discrezione e con molta educazione.