Un bambino seduto a terra sotto l’albero, con il capo chino. Attorno a lui delle pietre, perché non andasse oltre il cerchio delimitato. “Dov’è mamma?” le chiede l’oblata Maria, che era lì in piena campagna per effettuare la solita questua (olio, pane, legumi, farine). Ed ecco apparire i genitori, che faticano a prendersi cura del figliuolo affetto da disabilità psichica perché impossibilitati a mantenerlo. Siamo nel 1956, quel bambino poteva avere 8 anni e di lì a poco sarebbe entrato nel centro di riabilitazione sociale di Tropea “Don Mottola”, oggi riferimento per tutta la Calabria e per il sud.
È il racconto di Lucia Amato, 85 anni, originaria di Messina, che aveva rinunciato alla carriera pubblica della docenza per diventare oblata laica del Sacro Cuore – la cosiddetta “certosina della strada” – e che studiando a Vibo Valentia in quegli anni all’Istituto magistrale, invitata da una sua professoressa di lettere, aveva conosciuto il beato sacerdote calabrese don Francesco Mottola (1901-1969), fondatore della famiglia degli Oblati e delle Oblate del Sacro Cuore e della Casa della Carità (oggi case sparse in tutta Italia). Luoghi destinati ad accogliere la disabilità fisica e mentale, i “nuju du mundu”, ossia i nessuno del mondo, secondo un’espressione dialettale usata dallo stesso sacerdote.Nella diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea il centro d’inclusione sociale intitolato a don Mottola nella località turistica balneare di Tropea, così come il Museo civico diocesano, sono stati realizzati grazie a don Ignazio Toraldo di Francia, 77 anni, parroco emerito della concattedrale di Tropea.
“Dopo gli studi a Firenze e a Roma – esordisce don Ignazio – sono stato assegnato nella mia città natale, dove si respira ovunque la spiritualità del beato don Mottola e il suo spessore di umanità, grazie alle testimonianze di chi lo ha conosciuto ed è cresciuto con lui. Naturale accostarsi alla verità e alla sua passione per il Vangelo e lasciarsi affascinare dal suo testamento: come un pozzo, dove più scavi, più attingi acqua da bere”. Negli anni ‘80, spiega don Ignazio, “pesava fortemente lo stigma sociale sugli handicappati fisici e mentali” – allora non erano considerati “diversamente abili” –, pudore e vergogna nelle famiglie, i cui figli non potevano andare a scuola e non avevano spazi di socializzazione, e per questo proposi ad alcuni genitori di unirsi, tanto che nel 1983 nacque ufficialmente a Tropea l’associazione “Centro di solidarietà Don Mottola”. Di acqua sotto i ponti in 40 anni ne è passata tanta, a cominciare dalle condizioni economiche ed ambientali differenti. “La carità – continua don Ignazio – quando è vissuta genera carità e ti cambia lo sguardo. L’interrogativo assillante è: perché sono qui come sacerdote, come volontario, come operatore? Per soddisfare un mio bisogno o perché Qualcuno mi sta chiamando a vivere questa realtà come dono ricevuto? E questo fa la differenza anche nei corsi di formazione, la radice dell’impegno. Idealmente ho collegato anche il Museo civico diocesano nato nel 2000, al centro d’inclusione don Mottola, come passione per la storia della Calabria e memoria da custodire, capire chi siamo e da dove veniamo per vivere la realtà non come prigione, ma con quella libertà profonda che solo la conoscenza può dare”.
Intorno alla figura di don Mottola sono sorte tante opere nella diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea: la casa della Carità a Tropea e le case di accoglienza per ragazze in difficoltà, fanciulle senza genitori, o con situazioni particolari, le case della carità di Vibo Valentia, il villaggio don Mottola a Tropea, casa di cura per anziani, ora in co-gestione con l’ente morale Santa Rita, della curia di Mileto; il medical center don Mottola, di Sant’Angelo, Villa Felice, realtà riabilitativa privata; la casa di spiritualità di Corello di Drapia, con attenzione alla preghiera e alla cura degli esercizi spirituali per laici, religiosi e sacerdoti, il Museo civico diocesano di Tropea e appunto il Centro di solidarietà “Don Mottola” di Tropea, luogo aggregativo, ludico formativo diurno. “Scopo della nostra associazione – dichiara la presidente Maria Rosaria Cortese – è quello di contribuire a promuovere il pieno inserimento delle persone con disabilità nella società, infatti garantiamo le attività di socializzazione e di laboratorio nei locali dell’ex-Seminario, offerti in comodato d’uso dalla diocesi; servizio garantito per l’impegno quotidiano dei soci e volontari dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 17, compreso il pranzo, e animazione come bricolage, giardinaggio, musica e canti, ricamo, balli e giochi. Da qualche anno e per suggerimento degli stessi utenti, stiamo sperimentando nei mesi estivi l’oratorio per i ragazzi di tutte le età, prendendo spunto dalla Fondazione oratori milanesi, in collaborazione con gli scout. Inoltre l’associazione fa parte della rete del Banco Alimentare per la raccolta e distribuzione di alimenti a famiglie disagiate del comune e dei dintorni; garantisce un aiuto allo studio per ragazzi con problemi di apprendimento e debiti scolastici, offre la presentazione di mostre e di video di argomento culturale o educativo per adolescenti, uscite con visite in luoghi di pregio ai soci e non, propone la visita agli anziani residenti nella casa di riposo e collabora con le scuole per il recupero di giovani con problemi comportamentali. In un territorio a forte vocazione turistica, durante la bella stagione registriamo la dispersione di giovani e adulti, cui si aggiunge la presenza d’immigrati per gli sbarchi, e di badanti che sosteniamo con la Caritas e il Banco alimentare”.
Maria Rosaria è la sorella di Roberto, un giovane affetto da sindrome di Down, ultimo di 8 figli. Per la sua famiglia le difficoltà anche economiche sono state notevoli per affrontare questa condizione. Per questo ha deciso di fondare l’associazione, che aiutasse a riconoscere la pari dignità delle persone con disabilità includendole, come è giusto, nel mondo del lavoro. All’interno dell’associazione Roberto si è specializzato nell’uso del pirografo per la creazione di icone ed è considerato uno dei “pilastri”, per la sua simpatia e la sua affettività esuberante. Francesca La Prova, 44 anni, moglie e madre, volontaria al Centro Don Mottola, descrive il suo ingresso in questa realtà a seguito di un contatto amichevole nell’oratorio estivo 2018. “Da noi i bambini come i disabili – spiega – in estate vengono lasciati a se stessi per i flussi turistici che impiegano molte famiglie, impossibilitate a pagare baby sitting o assistenza specializzata; il nostro centro supplisce a molti servizi carenti, con il coinvolgimento di tutte le parrocchie. Ci preoccupa il dopo di noi: chi si prenderà cura di quei disabili senza famiglia, o con problematiche psico-sociali? Per questo è importante creare una rete istituzionale con il terzo settore e la diocesi”.
“Una realtà che stordisce di primo acchito – riprende Lucia Amato, con voce emozionata, ma ancora attivissima per i suoi 85 anni -. Non posso dimenticare il terrore che avevo negli occhi quando ho visto per la prima volta questo ‘mondo di esclusi’, come se avessi vissuto invano e su un altro pianeta. Il beato don Mottola aveva osato solo con l’amore, non con il denaro in tasca, con il coraggio della carità, e non ha avuto paura di toccare il corpo di un tisico. Un intellettuale precursore dei tempi – oggi don Tonino Bello direbbe contempl-attivo – per il suo essere accanto agli ultimi nei tuguri, negli anni devastanti della povertà culturale e sociale in Calabria. Una lezione sempre attuale, una vita che si è fatta pane spezzato per i poveri e i sofferenti”.