Un orto solidale dove si coltivano frutta, verdura e fiori, ma soprattutto valori e relazioni per la comunità. È quello nato nel 2016 a Castiglione, località di Verona, parte della frazione di San Michele Extra. “I semi di questo progetto – ricorda don Orazio Bellomi, 59 anni, parroco della chiesa di S. Rocco di Castiglione – erano stati gettati un anno prima, nel 2015. Quell’anno Papa Francesco fece un appello ad aprire le canoniche all’accoglienza e a maggio pubblicò l’enciclica Laudato Sì’”.
“Per raccogliere queste sollecitazioni – prosegue il sacerdote – ci siamo domandati: cosa possiamo fare? E ci siamo guardati intorno. Qui, siamo in mezzo al verde, abbiamo tanta terra e così siamo andati a chiedere a un abitante del paese un piccolo appezzamento di terreno. Alla fine lui ed altri ce ne hanno dati tre, in comodato d’uso”.
A iniziare a coltivare quei 4mila metri quadri di terreno, ora diventati circa 7mila, alcuni richiedenti asilo e persone a rischio di marginalità sociale supportate da un gruppo di volontari, provenienti da tutte le parrocchie di San Michele Extra. “Li accoglievamo in canonica – dice don Orazio – e l’orto era un modo per dargli una prima occupazione.
Per molti di loro, a partire dai richiedenti asilo, quello è stato un passo iniziale della loro nuova vita,
un trampolino di lancio per essere assunti, per esempio in altre aziende del territorio”.
Un progetto, quello dell’orto solidale, che impegna attualmente quattro richiedenti asilo e che, in sette anni, ha contribuito a cambiare la percezione della piccola comunità veronese riguardo all’importanza della cura della Terra.
“Questa esperienza – spiega Bellomi – ci ha permesso di rendere più concreto il messaggio della Laudato Sì’ e ha fatto entrare il tema dell’ambiente all’interno della vita della nostra parrocchia. Stiamo tentando di far capire che l’aspetto della custodia e della cura della “casa comune” è qualcosa che ha a che fare con il nostro credere”. “Concretamente – aggiunge il sacerdote – per gli eventi più importanti della nostra comunità (battesimi, prime comunioni, matrimoni, funerali…) abbiamo preso l’abitudine di piantare un albero e spesso durante le celebrazioni, nelle preghiere dei fedeli, c’è un’invocazione per il dono della pioggia”.
Oltre a questa nuova consapevolezza, l’orto ha lasciato altri frutti. “Il progetto – racconta ancora don Bellomi – ha contribuito a creare una rete sul territorio, con i volontari e le associazioni coinvolte”. I prodotti dell’orto solidale, poi, sono diventati un aiuto per le persone in difficoltà della parrocchia.
“Fin dall’inizio le famiglie che coltivavano la terra prendevano una cassetta con i prodotti – racconta il sacerdote – ma nei periodi di boom, come l’estate, dove però molte famiglie andavano in vacanza, avevamo tanta frutta e verdura in eccedenza. Così quelle cassette in più hanno cominciato a essere donate attraverso la Società di San Vincenzo de Paoli parrocchiale e il Centro d’Ascolto della Caritas a chi ne aveva più bisogno”.
“L’orto non deve solo produrre, ma generare anche bellezza” sottolinea don Orazio. E così nell’orto ora si coltivano anche fiori, grazie a volontari come Francesca.
“Prima già lavoravo come educatrice – spiega la donna, 52enne, madre di tre figli – ma poi mio marito è stata una delle persone a cui don Orazio ha chiesto un appezzamento di terra”. Adesso Francesca coordina i volontari che si alternano nella coltivazione e nella cura dello spazio e collabora tra gli altri con Cascina AlbaTerra, progetto nato nel 2016 a Fittà, frazione di Soave, in provincia di Verona. “Siamo circa una trentina, anche se il numero è variabile – dice la 52enne –; siamo di età diverse, per esempio ci sono uomini e donne un po’ più giovani di me, ma anche una coordinatrice dell’orto che ha 75 anni. Non ci sono molti giovani che vengono in maniera continuativa, ma spesso dei gruppi, come quello scout, donano delle giornate o delle settimane di lavoro in un periodo specifico. Diciamo che
l’esperienza dell’orto, una volta conosciuta, è contagiosa”.
Anche gli agricoltori della zona danno una mano, lavorando con un’organizzazione precisa. “Raccogliamo frutta e verdura tre volte a settimana – racconta la volontaria –: la raccolta avviene al mattino; nel primo pomeriggio i prodotti sono messi nelle cassette e successivamente, nel tardo pomeriggio, vengono consegnati. Il tutto viene fatto da tre gruppi di volontari diversi, con la presenza di almeno uno dei ragazzi accolti”.
“La frutta e la verdura – prosegue Francesca – sono stagionali, le famiglie che ritirano le cassette prendono quello che c’è, quello che la terra dà in quel momento”.
Famiglie, che non sono solo di San Michele Extra. “C’è chi si fa anche 40 minuti di auto per venire – dice la coordinatrice – spesso le famiglie si organizzano tra di loro in gruppi, una ritira per le altre, creando di fatto una rete. All’inizio molti abitanti erano diffidenti verso le persone che accoglievamo, ora molti hanno capito che attraverso la conoscenza, avvenuta proprio con il lavoro all’interno di questo progetto, si può imparare a fidarsi gli uni degli altri”.
Un orto dove curare vuol dire accogliere, andando al di là dei pregiudizi.
(*) foto gentilmente concesse da don Orazio Bellomi