Becchetti: “Puntare sulle comunità energetiche: rendono i cittadini protagonisti attivi della transizione ecologica”

Dire energia significa prima di tutto trovare le soluzioni per produrla in modo il più economico e il meno impattante possibile per l'ambiente. Su tale versante la Chiesa italiana ha fatto proprio l'appello di papa Francesco alla conversione ecologica e in particolare a partire dalla 49a Settimana Sociale di Taranto del 2021 si sta impegnando per lo sviluppo delle comunità energetiche. Su questo "La voce dei Berici" ha sentito l'economista Leonardo Becchetti, molto impegnato su queste tematiche.

(Foto Sir)

L’energia è sempre stato un argomento di grande interesse economico e non solo, ma ultimamente causa l’urgenza di dover rimediare al dissesto climatico e ambientale provocato dall’uomo al quale si è sommata la guerra di invasione della Russia ai danni dell’Ucraina, questo è diventato un’assoluta priorità. Dire energia significa prima di tutto trovare le soluzioni per produrla in modo il più economico e il meno impattante possibile per l’ambiente. Su tale versante la Chiesa italiana ha fatto proprio l’appello di papa Francesco alla conversione ecologica e in particolare a partire dalla 49a Settimana Sociale di Taranto del 2021 si sta impegnando per lo sviluppo delle comunità energetiche. Su questo abbiamo sentito l’economista Leonardo Becchetti molto impegnato su queste tematiche.

Professore, le comunità energetiche sono una risposta a un bisogno economico (risparmio energetico) ed ambientale. È una definizione corretta, o si potrebbe completare ulteriormente?
Sono una risposta anche ad un bisogno sociale, quello di costruire comunità e cittadinanza attiva rendendo i cittadini protagonisti attivi della transizione ecologica. Ma restando al primo punto sono senz’altro una delle risposte a un bisogno economico ed ambientale. I vantaggi sono molteplici. I membri della comunità energetica non devono acquistare l’energia che producono e consumano, possono vendere l’eccedenza di quanto prodotto e non consumato al gestore della rete e percepiscono dallo stato un premio per l’autoconsumo. Questi tre elementi nell’insieme hanno l’effetto di ridurre il costo delle bollette con benefici sui redditi e risparmi delle famiglie. Le comunità energetiche si fondano su fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico) e dunque sono una risposta alla crisi climatica perché le fonti rinnovabili fanno da 100 a 200 volte meno emissioni di Co2 rispetto alle fonti fossili. Sono anche uno strumento che ci aiuta ad essere indipendenti nell’erogazione momento per momento dell’energia dai Paesi produttori delle fonti fossili che più volte nella storia hanno fatto salire i prezzi portandoci elevati livelli d’inflazione (vedi fine anni 70 con la crisi petrolifera e oggi con l’impennata dei prezzi del gas russo).

Che idea di comunità sta dietro a questo progetto?
È una comunità fatta da due tipi di soggetti. I prosumer, ovvero chi investe negli impianti e dunque produce energia oltre che consumarla e i consumatori passivi, ovvero soggetti che non hanno pannelli sui tetti o comunque non contribuiscono all’investimento, ma entrano nella comunità solo come consumatori. A sua volta la Cer è per legge una no profit e può destinare parte degli introiti a scopi sociali. Così è in numerosi progetti, ma in questo caso si tratta di una decisione dei membri della comunità.

Quali condizioni sociali, di contesto richiede la decisione di costruire una comunità energetica?
La comprensione da parte dei partecipanti dei potenziali benefici personali derivanti dall’iniziativa e del suo impatto generativo sulla transizione ecologica. Se qualcosa fa bene alle nostre tasche e al pianeta ciò dovrebbe spingerci assolutamente a partecipare ed agire.

Quali dovrebbero essere le caratteristiche della comunità che si va a costituire?
Da un punto di vista della formula giuridico-associativa esistono varie possibilità. Dalla cooperativa di consumo, all’associazione di promozione sociale alla cooperativa di comunità particolarmente adatta per piccoli centri.

Che cambiamenti sociali e culturali può innescare il processo che porta a questa nuova realtà?
È ancora presto per dirlo ma sicuramente una sensibilizzazione e una mobilitazione attiva a diventare partecipi della transizione ecologica superando l’atteggiamento del Nimby (non da me) proprio perché si sperimentano i benefici dell’iniziativa. Il fare assieme, poi, può costruire legami importanti, ma questo dipende dal modo in cui le relazioni vengono gestite.

La Chiesa italiana dopo l’ultima Settimana Sociale sembra davvero essersi messa in gioco per, come si dice, mettere a terra quanto indicato da papa Francesco con la Laudato Si’. È d’accordo?
Sono tra quelli che hanno ideato e promosso l’iniziativa proprio perché mi sembrava di centrare tutti gli obiettivi che ho spiegato sopra. La storia dell’impegno sociale dei cattolici è si è sempre tradotto in iniziative concrete di protagonismo locale coerentemente con i principi di sussidiarietà e del bene comune. Così sono nate le cooperative di consumo, quelle di credito, le banche di credito cooperativo, le casse rurali e più recentemente le nuove forme di cooperazione sociale in un’iniziativa che ha messo insieme laici e credenti, ma dove i cattolici impegnati nel sociale sono stati un fattore di spinta. Quelle iniziative erano la risposta ai problemi di ieri, questa è una risposta ai problemi di oggi.

Che contributo originale può dare in questa prospettiva la comunità ecclesiale del nostro Paese a questo processo di conversione ecologica?
Dobbiamo essere testimoni credibili ed operatori competenti… solo mettendo assieme queste due componenti possiamo essere generativi e incidere. Da anni, a partire dalle settimane sociali di Cagliari, abbiamo messo a punto una metodologia fatta di identificazione e accompagnamento delle buone pratiche sul campo e di costruzione di alleanze tra studiosi, imprenditori, innovatori sociali, giovani che costruisce comunità e progresso sociale e civile. Così abbiamo lavorato al rafforzamento del credito cooperativo, alla nascita della Banca Etica, dei fondi etici d’investimento e di tutte quelle organizzazioni sociali e produttive che promuovono il voto col portafoglio (penso alla rete Next e a Gioosto la piattaforma online per il consumo responsabile). Non ci resta che continuare su questa strada.

*precedentemente pubblicato su “La voce dei Berici”

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