“Come può un adulto riposare in questi giorni senza sentire tutto il dolore della famiglia di Francesco Pio e tutta la preoccupazione per i figli di questa città il cui ritmo, come tu giustamente hai detto, è ormai cadenzato da episodi di violenza, da aggressioni e risse, da feriti e morti innocenti!?”. Lo scrive l’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia, in una lettera aperta a don Enzo Cimarelli, parroco della chiesa di San Lorenzo Martire nel quartiere Pianura, dopo l’uccisione del diciottenne Francesco Pio Maimone, vittima casuale in una sparatoria a Mergellina, scoppiata per futili motivi davanti a uno chalet. “Ti prego, fratello caro, di sentire tutta la mia vicinanza e il mio affetto, comunicandolo alla famiglia di Francesco Pio, ora afflitta da un dolore indicibile, e a tutta la tua comunità attonita dinanzi a una morte senza senso – prosegue l’arcivescovo nella sua lettera aperta -. Facciamo sì, tuttavia, che questa tragedia risvegli le coscienze assopite, smuova le miopie di chi non è capace di vedere oltre il proprio ruolo e il proprio interesse, ridesti la dignità di un intero popolo non più rassegnato al fatto che in questa città la morte sia diventata una compagna di strada delle passeggiate dei nostri ragazzi e la violenza un paesaggio costante come il mare che la bagna”. Il presule conclude la lettera con un pensiero rivolto direttamente al diciottenne ucciso: “E a te, Francesco Pio, il mio abbraccio più grande: non ci conosciamo ma i tuoi sogni spezzati da oggi sono anche i miei e ti prometto che farò, faremo, di tutto affinché i desideri di realizzazione, i progetti di bellezza, gli aneliti più alti e sani dei nostri figli si realizzino in questa città. Anche in tuo nome. Anche per te”. Dopo questo ennesimo omicidio, il Sir ha rivolto alcune domande a mons. Mimmo Battaglia.
Eccellenza, ancora una morte di un giovane a Napoli, stavolta è toccata a Francesco Pio. Ancora una volta una morte di un innocente che si trovava nel luogo sbagliato al momento sbagliato, ma anche una morte per motivi assurdi, da quanto trapelato. Perché, a suo avviso, Napoli non sa difendere i suoi giovani?
È paradossale dirlo, perché la cultura napoletana è tutta orientata e intessuta di comunità, di relazioni calde, intime, ma a mio avviso il problema risiede nell’incapacità di trasportare su un piano istituzionale e sistemico questa innata propensione al senso di comunità. La violenza giovanile, la criminalità organizzata, l’insicurezza diffusa sono realtà complesse che vanno affrontate facendo comunità, stando insieme, sedendosi tutti ad un unico tavolo. Troppe volte Comune, associazioni, anche la Chiesa agiscono in modo individualistico: serve un “noi”, non tanti io ma solo un grande “noi” può salvare i figli di Napoli!
Questa mentalità di violenza gratuita e causata da futili motivi è figlia di cosa?
Del vuoto. Del vuoto lasciato da noi adulti. Vuoto valoriale, affettivo, di presenza.
Un vuoto che viene riempito oggi in mille modi diversi, dai social alle serie tv, in cui spesso l’immagine del più forte, del violento, del successo a tutti i costi è enfatizzata. Quando c’è un vuoto, quando non si interiorizza la presenza di un adulto sano, allora non si sviluppa una capacità importante, quella di “autoregolarsi”, di dirigere la propria vita verso un orizzonte di senso e di valori. Il problema non sono i ragazzi, ma il vuoto che noi stiamo lasciando loro!
Napoli è afflitta dal cancro della camorra, come tante volte lei ha denunciato: cosa serve per sconfiggere questo male che deturpa il volto della città? Quali strategie possono essere messe in campo per l’emancipazione sociale e antagoniste al sistema della camorra?
Serve un rinnovato senso di comunità, da parte di tutti. Serve che le istituzioni, la gente, le associazioni, le Chiese facciano davvero rete, in modo paritario, per dare una risposta collettiva a questo cancro.
Occorre disarmare Napoli tutti insieme! Deve essere un impegno di tutti!
Vanno disarmate le mani di coloro che fanno della violenza e della prepotenza il proprio stile di vita! Ma dobbiamo disarmarci anche noi, adulti sempre pronti a fuggire dalle proprie responsabilità, a minimizzare, a voltarci dall’altra parte. Occorre, poi, comprendere che senza un esercito di educatori il fenomeno si potrà arginare, ma mai prevenire: vorrei fosse chiaro a tutti che educazione e sicurezza non sono soluzioni diverse e opposte ma sono due facce della stessa medaglia!
Napoli ha tante bellezze e un grande cuore, ma spesso poco da offrire ai giovani. Un grosso problema è la dispersione scolastica. L’educazione è fondamentale, come ci ha ben ricordato anche lei che ha lanciato il Patto educativo per Napoli. Come procede l’iniziativa? Quali risultati si attende?
L’iniziativa sta andando bene. Tre sperimentazioni in tre zone diverse della città hanno mosso i loro primi passi, zone difficili: Forcella, Soccavo, Ponticelli. Le realtà, le associazioni, le scuole e le istituzioni lì si incontrano una volta al mese per fare rete, progettare, confrontarsi, sostenersi. Il mese prossimo insieme al sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, andrò personalmente in visita per sostenere questi tavoli. Ovviamente quello del Patto è un processo lungo, che richiede tempo, ma è importante percorrerlo. Poi, un modo per accelerarlo c’è: decidere veramente e fino in fondo di rinunciare all’individualismo, allo sguardo parziale, all’interesse di parte per fare rete, per creare comunità.
La salvezza di Napoli passa da qui.