Nato 53 anni fa a Palermo, dove vive attualmente insieme alla moglie Milena Libutti e al figlio Marco, docente presso la sede di Palermo dell’Università Lumsa. Collaboratore di svariate società scientifiche ed autore di numerose pubblicazioni sui temi dell’economia, è anche componente del Consiglio direttivo dell’Istituto di formazione politica “Pedro Arrupe” di Palermo e membro dell’Osservatorio Mezzogiorno di Eurispes.
Stiamo parlando del prof. Giuseppe Notarstefano che nel 2021 ha ricevuto la nomina a presidente dell’Azione cattolica italiana con il compito di guidare nel periodo 2021-2024 l’associazione di laici che da più di 150 anni vive un cammino di formazione umana e cristiana orientato alla crescita comune, in collaborazione con le sedi episcopali e a servizio del territorio di appartenenza.
Ci racconti un po’ la sua storia. Come è entrato in Azione cattolica e perché?
Sono cresciuto con l’Azione cattolica. Durante le scuole medie ho iniziato a frequentare in parrocchia il gruppo dell’Acr; poi ho proseguito dando una mano agli animatori più grandi e divenendo prima educatore e poi responsabile Parrocchiale e successivamente, dopo essere entrato nell’equipe diocesana, anche responsabile diocesano dell’Acr. Infine sono giunto al Nazionale, prima come responsabile dell’Acr, poi come componente del centro studi di Ac, poi ancora come membro del laboratorio nazionale della formazione, poi come consigliere nazionale e vice presidente per il settore adulti, dal 2021 come presidente dell’Aci. L’Azione cattolica ha dato forma alla mia vita. In Ac ho conosciuto la mia fidanzata che ora è diventata mia moglie. In Ac ho stretto le amicizie più importanti della mia vita. In Ac ho anche scelto cosa fare da grande, ovvero diventare ricercatore, perché ho fatto esperienze che mi hanno fatto capire da vicino in cosa consistesse questa professione. Il servizio che vivo al nazionale, insieme ad altri collaboratori, è certamente faticoso, ma è solo la restituzione di qualcosa di grande che abbiamo ricevuto negli anni.
Grazie all’incarico che svolge al nazionale, sta viaggiando molto per l’Italia e sta incontrando tante realtà parrocchiali e diocesane. Cosa accomuna tutti i gruppi Ac che incontra nei suoi viaggi?
Già da un anno il ritmo delle visite è abbastanza intenso e con la presidenza, su base regionale, stiamo incontrando tutti i presidenti parrocchiali insieme ai parroci che fanno da assistenti. Stiamo cercando in ogni modo di ascoltare l’associazione e, attraverso l’associazione, di ascoltare le nostre comunità. Non solo durante i grandi momenti di convocazione a livello nazionale (come gli incontri riservati ai giovani, agli studenti, agli educatori), ma anche attraverso momenti diversi, in cui andiamo a visitare realtà più piccole, regionali o diocesane, dove possiamo avere contatti più diretti ed ascoltare meglio le persone. Quello che rileviamo è sicuramente un grande entusiasmo. È bello ritrovarsi come stasera ed iniziare una progettualità, guardando al futuro con fiducia. Dall’altro lato, ci sono anche le grandi sfide a cui questo tempo ci chiama. Una di queste riguarda le nuove generazioni. La pandemia non è passata senza lasciare traccia: in questi anni è successo qualcosa che ha profondamente cambiato le persone ed, in particolar modo, i più giovani. La nostra associazione non ha il problema della mancanza dei giovani, in quanto abbiamo tantissimi iscritti; abbiamo però un problema di trasmissione della fede, di accompagnamento, di capacità di far riscoprire ai giovani la dimensione vitale della fede. La fede è per la vita e questo va trasmesso con i comportamenti. Ecco allora l’altra faccia della medaglia di questa sfida, quella che che riguarda la Chiesa da vicino, ovvero il compito delle nostre comunità di essere più inclusive, da un lato ascoltando con attenzione e cura e dall’altro lato parlando a misura delle persone.
Si celebrerà oggi pomeriggio nella nostra diocesi la Festa della pace 2023 organizzata dall’Azione cattolica dei ragazzi. Come si costruisce la pace?
Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, papa Francesco si chiede se questo tempo che abbiamo vissuto durante la pandemia ci abbia reso migliori e, dopo varie riflessioni, conclude che la pace non è qualcosa di astratto, bensì una conversione personale e comunitaria. Questo significa che dobbiamo ricostruire la comunità dentro di noi, coltivare interiormente il senso di comunità. Questo è il compito di noi cristiani. Nella vita, tutti, a volte, siamo influenzati da uno stile individualistico, anche spinti da logiche di mercato più grandi di noi; al contrario, dobbiamo impegnarci a vivere uno stile di condivisione, ad avere un approccio comunitario. Dobbiamo rimettere al centro la parola ‘insieme’, ripartendo dalla rigenerazione dei legami, sperimentando nel profondo valori come l’accoglienza, la cordialità, la solidarietà, la collaborazione, la cooperazione. Cosa può fare l’Azione cattolica per accrescere il senso di comunità nelle parrocchie e nelle diocesi, più di quanto già non faccia?
Io credo che il sinodo sia un tempo dello Spirito. Laicamente è una grande opportunità per rigenerare la vita comunitaria. La pandemia ha solo portato alla luce alcune fragilità che erano presenti nella nostra società già da diversi decenni. In questo contesto l’Azione cattolica ha il compito di mettere insieme. Chi? Sia la vita degli associati tra di loro sia la vita degli associati con quella del resto della comunità. Ovviamente l’Ac è una grande organizzazione, ma è anche innanzitutto relazione, stare insieme, condividere la vita. Non dobbiamo smarrire mai ciò che nutre la vita comunitaria, che ha il suo cuore nella mensa Eucaristica, in quella condivisione del Pane che diventa condivisione della vita. Da lì parte tutto il resto: le attività, la formazione, i progetti, la carità, la formazione politica. Tutte ha inizio da lì e si dirama da lì.
Infine le chiedo di dare un messaggio agli associati dell’Ac della nostra diocesi e a tutti i lettori.
Prima di tutto voglio dire un grande grazie per questo lavoro che si sta facendo e che comprende anche voi giornalisti della stampa diocesana. Negli ultimi anni la comunicazione è divenuta reticolare e di fatto si è persa quella capacità di rielaborazione delle notizie che, invece, è molto importante per la qualità della democrazia. Se vogliamo mantenere la democrazia, dobbiamo mantenere anche questo sistema della stampa e dell’informazione. Nei giornali diocesani questa capacità ancora un po’ resiste. Il mio invito quindi, rivolto a tutti, è di sostenere la stampa diocesana in ogni modo possibile: in particolare invito i parroci e i responsabili degli uffici diocesani a collaborare in maniera attiva, condividendo informazioni su progetti ed eventi, leggendo quotidianamente il giornale diocesano e facendolo diventare fonte di formazione; invito poi i lettori a seguirlo con continuità, a leggerlo e a diffonderlo, facendo circolare sui vari social gli articoli più interessanti. Il sostegno al giornale diocesano, oltre che economico, deve essere inteso anche in tal senso.
(precedentemente pubblicato su “L’Ancora“)