Baby gang. Contu (scrittore): “Una risposta dei giovani alla mancanza di luoghi di incontro”

L’Umbria non è immune dall’inquietante fenomeno delle baby gang. Chiedendo alle autorità competenti e studiando i vari casi di cronaca avvenuti di recente nella regione, "La Voce" ha scoperto che spesso prima di arrivare agli atti di criminalità c’è una situazione di base di disagio giovanile che sembra essere sempre più grave. Il Sir rilancia l'intervista a Roberto Contu, insegnante e scrittore, che aiuta a tracciare il quadro della situazione

(Foto: ANSA/SIR)

Trattando il fenomeno delle “baby gang”, chiedendo alle autorità competenti e studiando i vari casi di cronaca avvenuti di recente nella nostra regione, ci siamo resi conto che spesso prima di arrivare agli atti di criminalità c’è una situazione di base di disagio giovanile che sembra essere sempre più grave. Abbiamo quindi chiesto a Roberto Contu, insegnante e scrittore, di aiutarci a tracciare il quadro.

La nostra percezione da adulti è che il disagio giovanile sia peggiorato rispetto al passato. È così? I giovani di oggi vivono più disagio? E se sì, a che cosa è dovuto?
Dal punto di vista educativo il fenomeno delle baby gang è interessante da osservare perché, ad esempio, emerge da questo fenomeno la necessità del gruppo da parte dell’adolescente. Il gruppo in questo caso non è composto solo dalla baby gang, ma anche da tutti quelli che stanno intorno e che ammirano i membri della baby gang. Tutte le “imprese” della gang sono infatti di solito registrate e rimbalzano in rete raccogliendo like e seguaci. Questi seguaci spesso sono gli “insospettabili”, i ragazzini normalmente più tranquilli. C’è quindi una forte esigenza di gruppo, perché il gruppo ci dà un’identità, e questa esigenza sta aumentando perché nella nostra società sono venuti meno i luoghi di aggregazione, come “il muretto” o la piazza. Oggi, paradossalmente l’aggregazione sembra possibile o in forma connotata, come nel caso dell’oratorio parrocchiale e del gruppo scout, o in forma estrema come nel caso delle baby gang. Non c’è una terra di mezzo. Da educatori quindi diventa fondamentale spiegare ai ragazzi qual è l’inganno di trovare la propria identità nella rete e la propria realizzazione nel “like”.

Essere genitori di adolescenti oggi sicuramente non è facile. Possiamo dare qualche suggerimento ai genitori che ci leggono?
Arriva il momento in cui come famiglia bisogna restare in piedi attraverso l’adolescenza, come quando arriva una tempesta: in mezzo alla tormenta non vedi nulla, ma l’importante è non cadere. Come? Per esempio ci devono essere poche regole che devono essere sempre rispettate. Poi è importante far sentire la presenza di entrambi i genitori, anche se nelle famiglie di oggi mi rendo conto che è una cosa non facile. In ultimo, ma non meno importante: dobbiamo smettere di pensare che la famiglia sia l’unica responsabile di certi comportamenti. Oggi la famiglia non può educare da sola. Un tempo era il paese intero ad educare i giovani. Oggi c’è tutta una retorica sulla famiglie, ma poi la famiglia nella pratica viene lasciata sola.È necessario che le istituzioni facciano da raccordo tra famiglie, scuola, società sportive, oratori. Ad esempio andando a ricreare dei luoghi di aggregazione non connotati, per così dire “laici”, che garantiscano ambienti sani in cui crescere.

C’è qualche speranza che il trend negativo si inverta?
La speranza va sempre tenuta alta. Questa generazione sta in un deserto ma ricordiamoci che molti giovani fanno cose bellissime.

(originariamente pubblicato su “La Voce“)

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