A ottobre scorso l’arcivescovo di Napoli, mons. Mimmo Battaglia, ha lanciato un grido di allarme sulla povertà educativa e sulla necessità di dar vita a un Patto educativo per salvare i ragazzi e i giovani di Napoli, un appello alla corresponsabilità verso le nuove generazioni rivolto a cittadini, associazioni, Istituzioni locali e regionali, Governo nazionale. Da allora sono stati compiuti diversi passi. Oltre a una massiccia adesione all’appello da parte di Istituzioni, associazioni, cooperative sociali, fondazioni, organizzazioni di categoria, istituti scolastici, organizzazioni del volontariato, realtà già protagoniste dell’impegno in campo sociale ed educativo, ci sono stati momenti di confronto e a maggio l’inaugurazione dell’Osservatorio sulle risorse e sulle fragilità educative a Nisida. Un cammino che ora prosegue, abbracciato con convinzione dal vescovo di Pozzuoli, mons. Gennaro Pascarella, nella cui diocesi ricadono quattro zone di Napoli. A don Gennaro Pagano, sacerdote della diocesi di Pozzuoli, coordinatore sia del Patto sia dell’Osservatorio, chiediamo di fare il punto sull’iniziativa.
Che riscontri ci sono stati in questi mesi all’appello di mons. Battaglia?
In questi mesi rispetto all’allarme lanciato dall’arcivescovo di Napoli sulla povertà educativa e al conseguente appello alla responsabilità ci sono state diverse risposte dal mondo del Terzo settore, più di 200 tra cooperative, realtà scolastica, associazioni cattoliche e non, Istituzioni. Particolarmente significativo è stato l’incontro in cattedrale, a Napoli, del 21 dicembre scorso durante il quale don Mimmo (come ama farsi chiamare mons. Battaglia, ndr) ha tracciato sette punti fondamentali imprescindibili per una nuova attenzione alla questione minorile e educativa all’interno dell’area metropolitana: ripartire dall’etica della cooperazione; costituire in ogni municipalità o territorio un Tavolo educativo; costituire una Agenzia per lo sviluppo delle pratiche educative inclusive; realizzare un sistema digitale capace di monitorare la dispersione scolastica; valorizzare la scuola non solo come luogo di apprendimento; diversificare e individualizzare i progetti e le azioni educative; investire su specifici processi di formazione degli educatori. C’è stata un grande fermento da parte della società civile e del mondo del Terzo settore e non è mancato il sostegno del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, della Regione Campania nella persona dell’assessore Lucia Fortini, del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Tutto ciò ha portato alla firma del protocollo d’intesa sulla dispersione scolastica, il 13 maggio, che è solo una tappa del Patto educativo.
Il 13 maggio è stato inaugurato a Nisida l’Osservatorio sulle risorse e sulle fragilità educative: di cosa si occuperà?
L’Osservatorio avrà l’obiettivo di accompagnare il Patto nei territori cercando di dare metodo, una visione anche scientifica da un punto di vista psico-pedagogico. L’Osservatorio avrà il compito di valorizzare le risorse educative e di denunciare le carenze e le povertà educative presenti nei territori. Da questo punto di vista, l’Osservatorio accompagnerà il Patto. Attualmente sono in cantiere dei lavori di ricognizione in due aree della città metropolitana: una corrispondente a Soccavo-Rione Traiano, l’altra a Ponticelli, poi è prevista anche un’area per il Centro. In queste tre aree si cercherà di creare, attraverso i referenti territoriali nominati da mons. Battaglia – don Pasquale Incoronato, suor Debora Contessi e Gianluca Guida –, Tavoli educativi dove tutte le realtà – scuole, Terzo settore, Chiesa – s’incontrano e cercano secondo uno stile cooperativistico di mandare avanti il processo del Patto. Il Patto non è una sigla, non è un protocollo, non è una firma posta tra istituzioni, il Patto è un processo che ha l’obiettivo di fare cooperazione, rete, sistema, in maniera antagonista al sistema della camorra.
Il Patto è un sistema di vita contro un sistema di morte.
Come Osservatorio, dunque, cercheremo di essere un pungolo per le istituzioni e la società civile accendendo i riflettori sulle situazioni di maggior bisogno e valorizzando ciò che merita di esserlo.
Napoli e provincia sono spesso sotto i riflettori per episodi di violenza, opera della criminalità organizzata ma anche frutto di un disagio diffuso: come si combatte tutto questo?
I continui episodi di violenza a Napoli non sono sintomatici esclusivamente di tempi recenti: sono il frutto di una situazione educativa, comunitaria e sociale che non è stata gestita bene negli ultimi dieci/vent’anni ed è degenerata. I ragazzi che compiono oggi questi atti li avremmo dovuti intercettare dieci anni fa quando erano piccoli, insieme alle loro famiglie multiproblematiche. Bisogna partire dai più piccoli e dagli adulti di riferimento, ripensare un welfare educativo e di comunità che contempli esperienze del tutoraggio, la possibilità di accompagnare le famiglie più difficili. Purtroppo, i risultati educativi non si vedono nel breve termine, ma solo nel lungo termine. Mentre chi si deve occupare di sicurezza ha l’onere di individuare i sistemi per presidiare le aree di maggior pericolo, noi tutti che siamo impegnati in educazione, dal governo alle Istituzioni, dalla Chiesa alle associazioni, dal Terzo settore al mondo delle cooperative, dobbiamo impegnarci oggi per fare in modo di avere dei risultati chiari, oggettivi tra cinque/dieci anni. Insomma, se vogliamo evitare episodi di violenza come quelli attuali iniziamo ora per raccogliere frutti tra qualche anno. Nel frattempo chi si occupa di sicurezza cerchi di presidiare il maggior numero possibili di aree a rischio e il mondo della società civile come già fa per tentare di intervenire rimediando a un welfare educativo assente.
All’appello di mons. Battaglia per un Patto educativo nella città metropolitana di Napoli ha unito subito la sua voce il vescovo di Pozzuoli e Ischia, mons. Pascarella.
Quella di Pozzuoli è una diocesi già da molto tempo attiva nell’ambito del sociale, con la Fondazione Regina Pacis, ed è molto attiva anche nei due istituti penali presenti nel territorio diocesano, quello femminile di Pozzuoli e quello minorile di Nisida. Il vescovo di Pozzuoli ha sentito la responsabilità di essere vescovo di una diocesi che contempla al suo interno quattro quartieri, quattro municipalità della città di Napoli: Bagnoli, Soccavo, Fuorigrotta e Pianura. Su dieci municipalità quattro sono sotto il coordinamento ecclesiale della diocesi di Pozzuoli e il vescovo ha sentito la necessità di non dividere la città, ma di seguire, accompagnare, fare suo l’appello di don Mimmo. Questo credo che sia significativo:
è un gesto non solo di comunione, ma di sinodalità interecclesiale per il bene dei piccoli e dei poveri.
Ed è qualcosa di molto bello perché oggi più che mai steccati rigidi e differenze territoriali, che non corrispondono a una reale differenza di vita quotidiana nei territori, possono essere superati in virtù di una necessità di camminare insieme, anche per il bene dei piccoli e dei poveri. Il gesto del vescovo di Pozzuoli va letto in questo senso. Al contempo, il vescovo ha messo a disposizione Nisida per l’Osservatorio perché è particolarmente simbolica per ciò che rappresenta: è un’isola che si affaccia sul territorio flegreo e su quello napoletano ed è un’isola dalle radici cristiane antiche, è stata un’abbazia, da cui è partito l’abate Adriano, poi diventato Sant’Adriano di Canterbury. E Nisida ha al suo interno il carcere minorile. Il simbolismo è proprio lì: da Nisida, da un luogo di sofferenza e speranza di rinascita, da un luogo sintomatico del malessere giovanile, noi osserviamo la città affinché “Nisida stessa resti vuota”, cioè affinché tanti ragazzi possano essere sottratti alle maglie del malaffare, della criminalità, della bruttura.