“La pandemia ha toccato situazioni di difficoltà che portano anche ad un elevato senso di fragilità e di possibilità di situazioni di manipolazione che riguardano adolescenti e giovani. Tenuto conto che anche gli educatori sono usciti molto provati da questo periodo, credo che sia molto delicata e importante una ripartenza che fornisca rassicurazione a chi si occupa sul campo dell’educazione dei minori in oratori, associazioni, aggregazioni sportive”. Ne è convinto don Tarcisio Bove, coordinatore regionale del Servizio per la tutela dei minori della Conferenza episcopale lombarda, che al Sir racconta quanto è stato fatto in questi ultimi anni per far fronte nelle diocesi ad una tematica sempre più importante.
Qual è la vostra esperienza? Come è iniziato il vostro percorso?
Nel gennaio 2020 abbiamo organizzato un incontro con tutti coloro che nelle diocesi lombarde erano già stati cooptati senza ancora differenziare le figure del referente e del responsabile dell’ascolto, fornendo una prima occasione formativa sulle
ferite che non vanno mai in prescrizione.
Si è trattato di un appuntamento prodromico al sussidio – che abbiamo preparato e che è stato validato dal Servizio nazionale della Cei – intitolato appunto “Le ferite non vanno mai in prescrizione”. In quella occasione, Anna Deodato e Davide Citto hanno messo a fuoco sia la necessità di avere sempre, riguardo al tema dell’abuso, una percezione diretta della realtà di quanto accaduto, sia le prospettive dal punto di vista canonico tenendo conto, in modo particolare, di quella zona grigia rappresentata da un comportamento non appropriato che può sfociare poi nell’abuso.
Poi è arrivata la pandemia: come ha condizionato l’evoluzione del Servizio?
Il diffondersi del Covid-19 non ci ha consentito di proseguire a livello formativo. Ma abbiamo, in ogni caso, strutturato da parte del Servizio regionale insieme con il vescovo referente, mons. Antonio Napolioni, un’equipe che potesse elaborare i percorsi formativi. Ne fanno parte un canonista, un penalista, due psicologi, uno psichiatra e un esperto di comunicazione oltre al sottoscritto, incaricato del coordinamento. In questa sede abbiamo affrontato le due tematiche: ascolto e prevenzione/formazione.
Sul primo aspetto come vi siete mossi?
Con incontri da remoto e in presenza abbiamo approfondito la questione dell’ascolto per identificare la figura dei referenti dell’ascolto, un laboratorio su due situazioni di ascolto e l’elaborazione da parte di chi vi si dedica e chi sta alle spalle, un piccolo gruppo di esperti a cui fare riferimento in modo tale da identificare, nel momento in cui è ascoltata una situazione di abuso normalmente riferita al passato, quale può essere l’elemento minimale di restituzione, senza entrare in altri ambiti, come quelli terapeutici.
E per quanto riguarda la prevenzione/formazione?
Con i referenti diocesani avremo a fine maggio un secondo incontro, questa volta in presenza, per approfondire diverse tematiche: in particolare qual è il profilo della figura di chi ascolta e che cosa ha messo in atto sia per creare una omogeneità e una correlazione tra i diversi elementi del Servizio (ascolto, riferimento al vescovo…) sia per mettere in rete le persone coinvolte nel Servizio. Cercheremo anche di capire quali sono state le difficoltà affrontate e i soggetti attraverso i quali il referente è riuscito ad elaborare passaggi successivi con i responsabili dei vari livelli di incontro nel mondo giovanile. Inoltre sarà l’occasione per fare il punto su cosa è stato fatto nelle diocesi con chi è deputato ad incontrare i giovani, chi ha responsabilità educative e se è stato compiuto qualche passo nei confronti del clero e degli ambiti formativi dei seminari e dei noviziati religiosi. Inoltre, nei giorni scorsi a Bergamo abbiamo avuto un incontro con tutti i responsabili degli Uffici diocesani di Pastorale giovanile, sacerdoti che si occupano del coordinamento e tutti i loro collaboratori.
Qual è la situazione nelle diocesi lombarde?
L’operatività è stata attivata dappertutto.
In tutte le diocesi è stato creato un centro di ascolto e hanno ricevuto alcune segnalazioni. Rispetto alle aspettative iniziali la sensazione è che siano state poche le segnalazioni arrivate. Questo è in linea con quello che è stato riscontrato a livello nazionale, un dato sul quale comunque vale la pena interrogarci di più e tutti.
Evidentemente c’è stata una “scrematura” perché alcune non erano di fatto riferito a situazioni di abuso o non si riferivano, come richiesto, a presbiteri o ad ambienti legati a parrocchie e a realtà ecclesiali. Per quanto riguarda l’ascolto, i servizi sono partiti, la disponibilità c’è; ciò che adesso dovremmo approfondire è la situazione degli strumenti per entrare in relazione nel momento in cui un soggetto chiede di essere ascoltato. Al momento non c’è omogeneità tra le diocesi lombarde: alcune hanno un numero telefonico dedicato, altre un indirizzo mail, altre ancora rendono disponibile un form da compilare online.
Vorremmo rendere il più possibile omogenei i Servizi diocesani, al di là delle singolarità e delle specificità. Avvertiamo la necessità di trovare sempre più punti di affinità.
Delle 10 diocesi lombarde, 5 hanno strutturato un Servizio interdiocesano (Crema, Cremona, Lodi, Pavia e Vigevano) mentre le 5 restanti hanno un Servizio autonomo e indipendente. In alcuni casi, le diocesi hanno scelto di nominare due referenti per il Centro di ascolto, uno uomo e una donna, rendendo disponibile un’offerta diversificata secondo le esigenze di chi chiede di essere ascoltato.
Che valutazione dà al percorso fin qui compiuto?
Per quanto riguarda l’incentivazione della possibilità di formazione siamo stati rallentanti dalla pandemia. Ma
è emerso un alto interesse da parte di tutti i responsabili dell’ascolto nell’approfondire le proprie competenze: sono persone che desiderano essere qualificati e competenti e chiedono che questo avvenga in un lavoro comune, in modo laboratoriale.
Proprio perché sentendo le esperienze altrui si affino lo strumento dell’ascolto, della relazione, della restituzione
In questo momento su quale aspetto è necessario porre maggiore attenzione?
Soprattutto per gli ambiti giovanili ci troviamo di fronte ad una situazione di grande saturazione, è un momento delicato perché di fatto la pandemia ha creato un disagio notevole negli adolescenti. Quanti si occupano di livelli formativi per i minori hanno in primo piano questa preoccupazione. Nei giorni scorsi, per esempio, ho ricevuto dal mondo dello scoutismo la segnalazione di percorsi di accompagnamento sotto il profilo psicologico attivati per gli Scout e i loro capi educatori.
C’è quindi la necessità di pigiare sull’acceleratore per quanto riguarda il sostegno e la formazione di chi si occupa dell’educazione dei più giovani.
Uno strumento che nell’estate 2020 abbiamo messo a disposizione come Servizio regionale per la tutela dei minori in collaborazione con il Cremit dell’Università Cattolica è “In rete con i ragazzi”, per aiutare educatori e ragazzi ad avere comportamenti virtuosi nei collegamenti attraverso il web.
Come far sì che ogni credente avverta e assuma la responsabilità sul fronte della tutela dei minori e non ricorra ad una semplice delega a chi è chiamato ad operare in prima linea?
Credo che se c’è una realtà sulla quale dover insistere è quella che i processi educativi ricevono un mandato dalla comunità ecclesiale. E questo richiama la necessità che ci sia un segnale di ritorno alla comunità ecclesiale. Credo che questo sia il meccanismo: in termini concreti, in molte parrocchie all’inizio dell’anno pastorale viene conferito il mandato educativo a catechisti ed educatori in un momento celebrativo nella messa; ritengo che questo possa essere l’aggancio attraverso il quale ricordare che la comunità cristiana sta dando il mandato agli educatori, per i quali c’è un investimento rispetto alla tutela dei minori. Ma poiché questa responsabilità sta alle spalle di tutta la comunità è bene farne un tema da affrontare in una riunione del Consiglio pastorale parrocchiale, delle Comunità pastorali. L’obiettivo è quello di far sentire coinvolti in questo ambito non solo chi se ne deve occupare nella quotidianità “sul campo” ma anche chi sta “alle spalle”, creando – come chiede Papa Francesco – una cultura di sostegno nelle comunità cristiana affinché
la prevenzione diventi una corresponsabilità più ampia.