Il cammino sinodale si è aperto “provvidenzialmente” in un periodo non solo di “chiusura” per via della pandemia ma anche di “stanca” nella vita ordinaria di molte comunità ecclesiali. Sarà anche per questo che, in giro per l’Italia, si avverte grande entusiasmo al termine della prima fase, quella che è stata dedicata all’ascolto. Ne sono testimoni le esperienze che i referenti diocesani raccontano, al Sir, condividendo quanto vissuto negli ultimi mesi.
Coinvolgimento, creatività, corresponsabilità. Comunità aperte all’ascolto, più accoglienti e meno verticistiche. È uno degli aspetti emersi dai 220 gruppi sinodali attivati nei mesi scorsi nella diocesi di Alba, tra i quali quelli “di strada” avviati da Caritas, quello con gli imprenditori, con gli operatori sanitari e quelli nelle case di riposo oltre a quelli nelle parrocchie e nelle realtà associative. Un centinaio di contributi, poi, sono arrivati – anche da persone più “esterne” al mondo ecclesiale – attraverso il questionario online reso disponibile sul sito web del settimanale diocesano, al quale si poteva rispondere in modo libero, anche in forma anonima. E poi – racconta don Piero Racca, uno dei due referenti diocesani – non è mancata la risposta degli studenti che, attraverso gli insegnanti di religione, dalle materne alle superiori sono stati coinvolti nel cammino diocesano. E “se all’inizio abbiamo fatto un po’ di difficoltà, per via non solo delle restrizioni dovute al Covid ma anche per una certa resistenza, alla fine è emersa la bellezza delle persone che si sono messe in gioco. Nell’ultimo periodo – spiega l’altra referente, Annamaria Tibaldi –
c’è stato un crescente desiderio di partecipare
e di dire la propria”. Per questo, prosegue, è “importante cogliere il desiderio di protagonismo, di trovare ascolto”. Dai contributi raccolti e dalla riflessione compiuta è emerso un “certo scollamento tra la Chiesa e la cultura e la società odierne”, sottolinea don Racca: “La Chiesa viene percepita arretrata, un po’ chiusa in sé, con poche capacità di comunicare davvero”. “C’è necessità – aggiunge Tibaldi – di un linguaggio non annacquato ma più comprensibile a donne e uomini di oggi”. Partecipazione alla messa, religiosità popolare, centralità della Parola di Dio, il venir meno della figura del parroco come riferimento e il coinvolgimento non dei singoli ma di gruppi di laici corresponsabili sono altri temi sottolineati. Non è mancata l’attenzione, a volte esprimendo preoccupazione, per l’accompagnamento dei giovani con i quali ricucire un rapporto così come per la formazione degli educatori. Nei prossimi giorni , ad Alba, si terrà un’assemblea nella quale la sintesi della prima fase del cammino verrà condivisa con i coordinatori dei gruppi, i Consigli diocesani e il clero.
“Ci vorrà ancora un po’ di tempo – affermano i referenti – per far sì che lo stile e il metodo sinodale entri definitivamente nelle nostre comunità”. C’è bisogno, evidenzia Tibaldi, di “capacità di ascolto ‘vero’, senza paura; quest’ultima c’è e non va sottovalutata ma dobbiamo essere in grado di liberarcene”.
Collaborazione, centralità della Parola di Dio, richiesta di formazione. “Lo spirito sinodale sta entrando nel vissuto della realtà eporediese. È diffusa la consapevolezza di
un cammino che non si è esaurito
con la sintesi al termine della prima fase ma che continua e dà vita generando nuove riflessioni”. Così Elisabetta Acide, del Gruppo di coordinamento della diocesi di Ivrea, riassume l’esperienza vissuta in questi mesi e lo stato d’animo di chi ha partecipato al percorso sinodale. Nel periodo di avvio, per spiegare in modo semplice e immediato cos’è il cammino sinodale e cosa chiede alla Chiesa è stato realizzato e diffuso in diocesi un video tutorial: “Pensato – sottolinea Acide – per fornire indicazioni sulla logica del discernimento, dell’ascolto, del dialogo e sulle tre parole: comunione, partecipazione, missione”. “In diversi casi – aggiunge – è stato utilizzato per avviare la riflessione nel primo incontro dei gruppi sinodali con frasi, voci e immagini significative”. Al termine di questo “primo momento estremamente ricco di contributi”, Acide traccia un sintetico bilancio: “Nei piccoli centri come nelle città più grandi della diocesi si è riusciti ad attivare processi di ascolto, dialogo e confronto. In alcune realtà si è fatta più difficoltà nell’avviarli per via anche della mancanza di una pregressa abitudine agli incontri. Ma, in ogni caso,
è stata un’esperienza dappertutto fruttuosa” dalla quale è emerso l’“apprezzamento per la logica del camminare insieme che, forse per la prima volta, parte in modo concreto dalla base”.
Contributi sono arrivati dal 60% delle parrocchie della diocesi e nel percorso sono stati coinvolti anche oltre 2mila studenti. Da una parte, osserva, è stata espressa “la volontà di uscire dalla chiusura delle singole realtà parrocchiali e territoriali per provare ad allargare lo sguardo a gruppi, movimenti, realtà vicine e a voci diverse”; dall’altra, è stato manifestato il “desiderio di progettare il futuro con uno sguardo rivolto anche al passato ma con una prospettiva che parte da una nuova spinta capace di creatività per dare spazio alle istanze emerse da più parti”. Anche nelle comunità eporediesi c’è la richiesta di “collaborazione effettiva tra presbiteri, diaconi, laici impegnati ma anche coloro che sono sulla soglia, che magari oggi stanno a guardare ma che non sono disponibili a farsi coinvolgere”. Acide indica poi altri due aspetti che delineano il sentire prevalente: quella di Ivrea è “una Chiesa che ha voglia di continuare il cammino, magari a velocità diverse o con passi diversi, ma insieme e mettendo al centro Cristo”; diffusa è “la richiesta di formazione”, da vivere in “un clima che è già di per sé sinodale perché richiede disponibilità all’ascolto e al dialogo”.