La storia dei nostri viaggi è cominciata con la sensibilità dei proprietari della ristorazione Ottavian, Antonio, Stefania e Marco. Nei primi giorni della guerra mio marito è andato a chiedere delle ferie per venire con me alla frontiera ucraina e ha ottenuto non solo le ferie ma anche la proposta di pagarci una corriera.Così siamo arrivati a conoscere i Battistuzzi, le guide fedeli e sicure. La loro corriera a due piani diventa per noi, volontari, per tanti giorni un ufficio dove svolgere il lavoro di coordinamento. E per i nostri passeggeri diventa una vera e propria casa, dove c’è un bagno, una cucina con panini e tè, una cameretta con giocattoli, matite e libri…
Non mancano nemmeno gli animali domestici, cani e gatti, prima spaventati dai bombardamenti poi da questo improvviso e lungo viaggio chissà dove.
È presente perfino una guida turistica che però questa volta dice al microfono: “Benvenuti a bordo della nostra corriera! Vi portiamo in Italia. Vi faccio vedere Venezia con il suo fiero leone alato, vi faccio sentire l’anima indipendente di Firenze, insieme ammireremo bellissime opere d’arte…” e, mandando giù le lacrime, aggiunge: “Ma oggi… oggi i protagonisti della storia siete voi, ucraini”.Dopo tre notti insonni, alle sei di mattina alla stazione della città polacca di Przemysl, vicino alla frontiera ucraina, vedo le stesse facce che ho appena visto su YouTube dare le ultime notizie sulla guerra nell’ufficio di Zelenskij. Vedo avanzare delicatamente attraverso la folla della stazione, senza guardia del corpo né valigie, una decina di persone inconfondibili. Li seguo con la bocca aperta fino alla macchina, poi chiamo gli amici ucraini: “Ho appena visto i capi militari ucraini, la situazione è così esasperata che li stanno già evacuando?”. “Ti è sembrato, non è possibile”. Ma poche ore dopo: “Avevi ragione, stamattina attraverso Przemysl sono andati alle trattative in Bielorussia”.
Sempre alla stazione di Przemysl troviamo un signore salito senza permesso in corriera, che si presenta come un giornalista. “Fuori, per favore”. La stessa notte la polizia polacca ha dato notizia di aver preso alla stazione di Przemysl una spia russa che si spacciava per giornalista.
Tante donne hanno herpes sulle labbra, il segno dello stress subito. Tante di loro hanno bisogno di parlare, parlare di qualsiasi cosa e a volte di notte qualcuna si mette sul sedile dietro di me e racconta…
“Ci vorrebbe uno psicologo a bordo”, penso, e intanto cerco di risolvere i problemi trovando le soluzioni anche drastiche.
Come quando su una delle nostre corriere sono salite mamme giovanissime con i neonati. Spaventate, non vedendomi a bordo, fermano la corriera. Non trovo altra soluzione che dire all’altoparlante del telefonino di una di loro: “O vi fidate di noi o gli autisti vi portano dove vi hanno preso”.
C’è Yulia che solo all’arrivo in Italia confida di aver viaggiato con una caviglia rotta dopo essere caduta dal treno affollato alla partenza a Kiev. “Volevo tanto arrivare in un posto sicuro”.
C’è una bambina che racconta della sua casa e non capisce perché è dovuta andar via. E c’è un bambino piccolo che dopo una crisi isterica si mette disteso sul corridoio della corriera e solo ascoltando il motore riesce finalmente ad addormentarsi.
C’è una signora che fa le battute di continuo, fa giocare il suo cagnolino Tolik coinvolgendo gli altri passeggeri e perfino gli autisti. Sembra di un altro mondo, ma poi racconta: “Quando mi sono accorta di avere solo due ore per fare le valigie girovagavo per casa disorientata. Alla fine sai cosa ho preso? Cinque paia di collant colorate! E ho lasciato a casa il guinzaglio di Tolik. E sai cosa ha risposto mio marito quando gli hanno chiesto un’offerta per costruire una chiesa russa, dopo quella famosa benedizione da parte del patriarca ai capi militari russi? ‘Preferisco il fuoco degli inferi’”.
Ci sono due ragazze da sole con il nonno non autosufficiente in carrozzina. Per portarlo dentro la corriera ci è voluta la forza di quattro uomini, a portarlo fuori è riuscita una sola donna, sua figlia, che lo aspettava a Venezia.C’è un fotografo, Alessandro, che, arrivato al più grande centro d’accoglienza alla frontiera, spegne la macchina fotografica e, istintivamente, segue le priorità del momento, si mette a fare per la prima volta in vita sua le pulizie nei bagni e a giocare con i bambini. E c’è un giornalista senza nome che mi ha lasciato senza parole davanti alla camera con la domanda: “Perché lo fai?”.E c’è anche la burocrazia. Una burocrazia fredda e senza faccia. E c’è anche altro… Quando i primi giorni i controllori buttano fuori dai treni, in stazioni sconosciute e senza spiegazioni, famiglie con il tampone fatto ma senza green pass riconosciuto in Italia.
Quando in albergo non danno il permesso ai due anziani di aspettare mezz’oretta nella hall comune la figlia in arrivo perché non sono tanto presentabili.
Quando un’autorità, dopo avermi visto in un video, mi ha consigliato di avere una faccia “di un impatto meno forte” la prossima volta. Vieni e vedi.
Ma per fortuna ci sono anche i poliziotti della stazione Santa Lucia a Venezia che con i propri soldi comprano i panini al bar per tutto il gruppo. C’è Adriano che mette in moto tutte le sue conoscenze per proteggerci. Nella mia vita adesso c’è anche Justyna, una vera e propria fata, che ogni volta arriva chissà da dove nei momenti difficili e mi procura i numeri dei volontari polacchi che mi aiutano in qualsiasi situazione. C’è Roberto che interrompe le ferie e si mette a disposizione con il suo pulmino per portare le persone nei posti più lontani.
E come in ogni apocalisse ci sono non solo dolore, sofferenza e disperazione ma anche incontri importanti.
All’improvviso si crea una rete di persone di buona volontà, italiani, polacchi, ucraini, prima invisibili e adesso indispensabili e capaci di fare i miracoli. E ci sono anch’io, grata di far parte di questa galassia.
A Bologna c’è una studentessa che aspetta un bus urbano. All’improvviso il suo sguardo cade sulla scritta “Missione Ucraina” della nostra corriera. In un istante scatta una reazione spontanea, più forte di lei. Corre al chiosco, compra un grande pacco di caramelle, un attimo prima della chiusura della porta lo lancia dentro e grida “Welcome!”.
(*) articolo pubblicato originariamente su “L’Azione” di Vittorio Veneto