Ci saranno anche la presenza e la voce delle comunità diocesane di Vittorio Veneto e Belluno-Feltre, rappresentate dai rispettivi vescovi e responsabili della Pastorale sociale e del lavoro, alla manifestazione che questa mattina si terrà a Mel di Borgo Valbelluna per scongiurare la chiusura di due storiche realtà produttive del territorio, insediatesi qui grazie ad investimenti pubblici per riscattare la tragedia del Vajont del 1963: la Zanussi Elettromeccanica (oggi Acc-Wanbao) e la Ceramica Dolomite, da una ventina d’anni confluita nel gruppo Ideal Standard. A convocare la mobilitazione è stato il sindaco Stefano Cesa, convinto che “dobbiamo sollevare alta la nostra voce corale ed unanime a difesa di questo patrimonio industriale, a difesa del tessuto produttivo ed economico della Valbelluna, a stimolare Parlamento e Governo ad intraprendere una nuova politica industriale a tutela della più autentica tradizione di lavoro, come la nostra, a salvaguardia di un’economia etica e per la crescita e lo sviluppo di una comunità”. Alcune settimane fa, il primo cittadino aveva indirizzato una lettera aperta al presidente Mattarella e al premier Draghi presentando la drammaticità di due aziende “vicinissime al baratro” e affermando che “io e i miei concittadini non possiamo accettare tutto questo”.
Il rischio incombente di chiusura delle due realtà coinvolge e tocca da vicino la vita di circa 800 lavoratori con le rispettive famiglie. La Acc, che produce compressori per frigoriferi, è in amministrazione straordinaria dal 2020; la Zanussi Elettromeccanica ha vissuto negli ultimi decenni il passaggio di proprietà prima al gruppo Electrolux e poi fondi di private equity, fino alla cessione alla cinese Wanbao che a conclusione del 2019 ha annunciato l’intenzione di dismettere le attività italiane. Nonostante queste traversie, l’azienda ha continuato a mostrare buone potenzialità occupando circa 350 dipendenti. È di un paio di settimane fa la notizia della volontà di chiudere l’attività della Ideal Standard di Trichiana, dove lavorano 450 persone a cui vanno aggiunte le 200 dell’indotto. La decisione dei dirigenti è legata non solo all’indebitamento del gruppo, di proprietà di fondi belgi e australiani, ma anche ad un costo maggiore di produzione in questa realtà produttiva rispetto ad altri stabilimenti.
“Se la dismissione delle due fabbriche si realizzasse, sarebbe un disastro per l’intera Provincia”, la convinzione di Cesa, impegnato a scongiurare quella che ha definito “una ferita forse non più rimarginabile alla nostra stessa identità culturale e sociale” e “al profilo stesso dei nostri valori, dove hanno sempre spiccato il lavoro, la dignità, la solidarietà, la responsabilità, l’integrazione”.
Oltre ai sindacati, da anni al fianco dei lavoratori si è schierata la comunità ecclesiale. Lo ha fatto con interventi dei vescovi e degli Uffici di Pastorale sociale e del lavoro. Anche per questa ragione è naturale la loro partecipazione alla manifestazione odierna. “Come Pastorale sociale abbiamo sentito il dovere di accompagnare e di coinvolgerci in questa situazione”, spiega don Andrea Forest, delegato vescovile della diocesi di Vittorio Veneto, aggiungendo che ciò riguarda “due livelli: sia per la precarietà a cui circa 800 famiglie sono potenzialmente esposte, sia per un ragionamento sul futuro produttivo e, quindi, sociale di un territorio già in fatica”. “È una scelta evangelica – prosegue -, che chiede l’urgenza di prossimità ad ogni situazione di povertà. Ma ancor di più dovrebbe essere una scelta politica: e non può non amareggiare il fatto che, come sembra, a certi livelli non ci sia la stessa preoccupazione per il bene dei cittadini”.
“Siamo perfettamente consapevoli della complessità della situazione e della conseguente difficoltà di trovare risposte”, riconosce il vescovo di Vittorio Veneto, mons. Corrado Pizziolo. “Nello stesso tempo riteniamo che prima di rassegnarci alla chiusura di due realtà assolutamente importanti per tutta la valle dello Zumellese e – va sottolineato – tutt’ora sane, sia necessario cercare ulteriori soluzioni”, ha aggiunto il presule, secondo cui “la manifestazione vuol essere uno stimolo e un incoraggiamento al mondo sociale, economico e politico perché, lavorando insieme, tali soluzioni possano essere trovate”.
D’altra parte, sottolinea il vescovo di Belluno-Feltre, mons. Renato Marangoni, “abitare il territorio, significa anche impegnarsi perché ogni persona possa lavorare”. “Dimostrare vicinanza e solidarietà a chi potrebbe perdere il lavoro e alle loro famiglie significa vivere la speranza di un’intera comunità”, continua il presule, sottolineando che “proprio in forza di tali motivazioni il lavoro non è solo un ‘mezzo’ che serve ad altro. È una dimensione essenziale delle persone, delle famiglie, delle comunità è un’esperienza insostituibile dove si formano le persone e le comunità”.
Stefano Perale, direttore della Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Belluno-Feltre, rimarca: “È compito nostro non solo essere oggi vicini a chi è preoccupato e dobbiamo partire da questo momento di difficoltà per ragionare in modo costruttivo sul lavoro nella nostra provincia. Non possiamo essere in balia della multinazionale di turno, dobbiamo essere artefici del nostro futuro e di quello delle nostre comunità”.
Questi sono giorni frenetici tra incontri, scadenze e manifestazioni. E i prossimi saranno decisivi per il destino di entrambe le realtà con riunioni che vedranno seduti attorno al tavolo sindacati, parlamentari e anche il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti.