Il 30 ottobre di 5 anni fa, la sequenza sismica che devastò il Centro Italia, produsse la scossa che mise in ginocchio Norcia e tutta l’area circostante: magnitudo 6.5, più violenta di quella di Amatrice del 24 agosto. Erano le 7.40 del mattino. Il ricordo di quei momenti ci riconsegna le immagini di cittadini, monaci e suore in ginocchio, impietriti, davanti alla statua di san Benedetto, rimasta salda e intatta al centro della piazza, mentre la polvere sollevata dal crollo lasciava intravedere gli effetti della devastazione. La basilica di San Benedetto, con le sue macerie, da quel giorno rappresenta una ferita aperta nel Centro Italia, l’icona di quel dramma come lo fu Amatrice per la scossa del 24 agosto. Per rievocare quei momenti e guardare alla ricostruzione, ma soprattutto “alla rigenerazione” di questa terra, il Sir ha incontrato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo.
Eccellenza, come racconta, oggi, il peso, la fatica, la delusione ma anche la speranza di questi anni?
Tornare indietro a quei giorni provoca un insieme di sentimenti. Il primo è il disorientamento, la paura di scoprirsi fragili che abbiamo sperimentato nel momento del terremoto e nell’arco di tempo che ne è seguito.
Conosciamo bene la fatica e la delusione che ci hanno accompagnato in questi lunghi anni. Abbiamo provato la frustrazione di tante promesse fatte al momento del terremoto e poi rimaste deluse. Si fa strada, poi, un sentimento di speranza e di vita che riprende.
Lo abbiamo sperimentato grazie alla vicinanza, alla solidarietà, alla speranza e all’amicizia concreta di tantissima gente. Poco a poco le cose si stanno muovendo, dopo i primi anni di blocco. Questo ci aiuta a mettere da parte i sentimenti negativi e di acquisire sempre più la forza per ricominciare. Non senza difficoltà ma si riparte.
La Chiesa locale, grazie anche al sostegno della Cei, è rimasta accanto alla popolazione condividendone fatiche, dolore e difficoltà di vita sin dal primo istante. Ieri come oggi…
Ancora una volta mi preme ricordare la presenza dei sacerdoti delle comunità colpite che non si sono mai allontanati dalla loro popolazione cosa che ha provocato in tutti ammirazione e gratitudine. Una vicinanza alle comunità locali sostenuta dalla Cei, dalla Caritas Italiana e da tanti altri enti e gruppi. Non abbiamo né la bacchetta magica né capacità economiche e organizzative tali da dare delle risposte immediate e puntuali a ogni necessità ma siamo riusciti a dare dei segni di condivisione e vicinanza per sostenere la ripartenza.
La presenza dei preti è stato il segno più eloquente della vicinanza e del sostegno della Chiesa.
Questo sostegno lo ritroviamo anche in alcune realizzazioni concrete come i Centri di Comunità e l’aiuto a diverse imprese locali.
Anche la Chiesa locale è stata colpita dal sisma che ha abbattuto moltissimi luoghi di culto, cappelle e chiese. A che punto è l’opera di ricostruzione di questi luoghi?
San Benedetto è diventata l’icona del terremoto e di tutti i danni che questo ha arrecato a tanti altri luoghi di culto della zona. Solo nella nostra diocesi abbiamo 362 chiese danneggiate, qualcuna totalmente distrutta, altre gravemente colpite, tutte le altre inagibili. Le chiese sono monumenti di arte e di storia che raccontano la fede di un popolo. Sono ammirato e colpito da come la gente ha sentito la perdita della propria chiesa che custodiva memorie di famiglia. Oggi la ricostruzione, grazie all’impegno e alla determinazione del Commissario straordinario, Giovanni Legnini, è finalmente partita. Attualmente abbiamo 24 cantieri aperti, altri 18 stanno per partire e confidiamo di allargare sempre di più il numero delle Chiese che vogliamo restituire alle rispettive comunità e alla loro fede.
San Benedetto e Sant’Eutizio: qual è lo stato dell’arte? E quanto è importante per la popolazione il loro recupero?
Aprire i cantieri per ricostruire le chiese diventa una iniezione di speranza e una riaffermazione dell’identità. San Benedetto, Sant’Eutizio, Santa Maria Argentea, tanto per citare dei nomi, sono luoghi simbolo della storia, non solo locale, ma anche europea – San Benedetto è patrono d’Europa -. Esiste un grande legame affettivo e di fede con questi luoghi. Ritrovarli tutti diventa un rinnovare l’orgoglio di una appartenenza.
Oggi, 30 ottobre, viene presentato dal Mibact il progetto di ricostruzione della basilica di san Benedetto…
Giorni fa i funzionari del Mibact (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) mi hanno detto che pensano, entro la fine dell’anno, di iniziare a muovere i primi passi della ricostruzione. I progetti sono stati elaborati, visionati, esaminati ad ogni livello, ricevendo le approvazioni necessarie. Manca il ‘calcio di inizio’ che speriamo possa essere dato quanto prima.
All’emergenza sisma si è aggiunta in questo ultimo anno e mezzo anche il terremoto della pandemia: con quali effetti su una terra e su una popolazione provata?
Queste sono zone che vivono soprattutto di turismo, di agricoltura, allevamento, di commercio. Il sisma ha bloccato tutto. Le prime attività si sono rimesse in movimento dopo più di un anno e sembrava una ventata di ripresa. Poi nel 2020 il Covid-19 e il secondo blocco totale. La perdita è stata enorme a livello economico, sociale, amministrativo.
Ci sono state poi ferite profonde interiori: sono subentrati scoraggiamento, delusione, fatica, impotenza, perdita di motivazione.
Questa estate, grazie a Dio, abbiamo assistito ad una nuova ripresa, soprattutto turistica, che ci ha regalato speranza e anche fiato all’economia.
Più volte, in questi anni, lei ha ribadito che non basta ricostruire ma serve rigenerare questa terra. Ma come?
Rigenerare perché sisma e pandemia hanno provocato ferite profonde che devono rimarginarsi anche con l’apporto di tutto quel patrimonio di cultura, di arte, di fede, di bellezza di cui questa terra è ricca. La combinazione sisma-pandemia, infatti, ha fatto emergere anche la meschinità e la piccolezza dello spirito umano. Mi riferisco a sentimenti di rivendicazioni, di invidia e di contrapposizioni gli uni gli altri che hanno lacerato ulteriormente il tessuto delle relazioni umane.
Dobbiamo imparare nuovamente a stare insieme.
Il Papa ci ricorda sempre che dalla crisi si esce ‘tutti insieme e da fratelli’. Se ricostruiamo le case non possiamo trascurare di ricostruire vere relazioni. Se pandemia e terremoto ci educheranno a ritrovare il gusto dell’essenzialità, dello stare insieme, allora avremo recuperato la dimensione umana della vita. Diversamente sarà stato un tempo sprecato. Ricostruire le relazioni è molto più urgente che ricostruire san Benedetto.