È considerata tra le 20 opere architettoniche più rilevanti della seconda metà del Novecento. La concattedrale di Taranto, intitolata alla Gran Madre di Dio, progettata dal celebre architetto Gio Ponti e fortemente voluta dall’allora vescovo Guglielmo Motolese che l’ha consacrata il 6 dicembre 1970, ha compiuto 50 anni. Mentre fervono i lavori per completare la preparazione della 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani che la città dei due mari ospiterà dal 21 al 24 ottobre, oggi si svolge presso il Palazzo arcivescovile la giornata di studio “Nuove committenze. Nuovi progettisti”, organizzata dall’Ufficio nazionale per i beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto della Cei in collaborazione con la diocesi. Nel corso dei lavori è prevista anche la visita alla mostra “Gio Ponti e la concattedrale di Taranto 1970-2020. Il sogno di una città, il sogno dei suoi cittadini e il sogno di Guglielmo e di Giovanni”, inaugurata lo scorso 15 giugno presso il Museo diocesano. “Concepita come un vascello per solcare il mare, con la vela che si slancia verso il cielo, è un patrimonio di arte e fede da custodire e valorizzare”, dice al Sir l’arcivescovo Filippo Santoro, che è anche presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali.
Eccellenza, Taranto aveva già una cattedrale. Come è nata l’idea di costruirne un’altra?
È nata da un’intuizione profetica di mons. Motolese, in un momento in cui la città stava conoscendo una fase di grande espansione legata all’apertura dello stabilimento siderurgico dell’Ilva. Lì dove stavano sorgendo i nuovi quartieri, il vescovo ritenne si dovesse erigere un luogo per le grandi assemblee del popolo di Dio, dal momento che la veneranda basilica cattedrale di San Cataldo, la più antica di Puglia, risultava un po’ angusta. Così il vescovo pensò ad una nuova concattedrale, più confacente alle nuove esigenze liturgiche dettate dalla riforma del Concilio Vaticano II. Ma l’aspetto che mi colpisce di questa concattedrale, frutto del profondo dialogo intessuto allora tra mons. Motolese e l’architetto Ponti, è la sua vitalità che la fa sembrare costruita oggi, non mezzo secolo fa. La concattedrale è sede della cattedra del vescovo, luogo dell’unità nel quale tutta la diocesi è convocata in occasione di importanti circostanze. Come lo scorso 11 settembre per l’avvio del nuovo anno pastorale di cui, in quella circostanza, ho dettato linee e punti di riferimento.
Lei ha parlato di unità. Quanto è importante perseguirla e ritrovarla in una società individualista e frammentata, oggi anche impaurita dalla crisi economico-sanitaria?
Di unità c’è un profondo bisogno. Tutti – cattolici e “laici” – sono concordi nel ritenere che l’unica salvezza possibile sia il passaggio dall’io al noi, dall’individuo alla comunità per la realizzazione del bene comune sociale, quel passaggio che la nostra concattedrale rende plasticamente visibile. L’unità è tuttavia possibile quando il cuore è pieno di una gioia comune, non individuale ma condivisa, come la speranza è tale solo se condivisa.
In una città flagellata dall’inquinamento e dalla devastazione ambientale, la concattedrale si pone come luogo di fede, di unità e armonia per l’accoglienza di tutti.
La sua luce sembra dire ad ognuno di noi che è possibile costruire un cammino solidale, ma solo se fondato su un qualcosa che va oltre l’individuo e si lascia attraversare dall’amore di Dio.
“Fatta di vento e di mare”: così è stata definita. Il linguaggio della sua bellezza che cosa dice ad una città ferita, il cui destino sembra in bilico tra diritto alla salute e diritto al lavoro?
La gente si ferma ad ammirarla, di giorno ma anche di sera, grazie alla suggestiva illuminazione. L’imponente scalinata che conduce all’ingresso principale, la doppia facciata, la vela che sostituisce la cupola e si riflette nell’acqua delle tre vasche collocate nel piazzale antistante, le 80 finestre volute da Gio Ponti perché, diceva, vi potessero sostare gli angeli, il muro traforato che dà spazio al vento dello Spirito…
Una bellezza alta ma al tempo stesso vicina alla vita di tutti noi, un incoraggiamento a rinsaldare il senso di comunità in un percorso volto a riaffermare il valore e la dignità di ogni persona.
“Presente” all’evento odierno, la concattedrale sarà “co-protagonista” della 49ª Settimana sociale…
Sarà sede di celebrazioni e di gruppi di studio; un luogo in cui la bellezza, spinta dal soffio dello Spirito, può spalancare il cuore alla giustizia e alla solidarietà. Stiamo lavorando sul tema “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”. Quei giorni saranno scanditi da momenti di denuncia, da nodi da sciogliere, ma anche dalla presentazione di buone pratiche, perché è a partire da queste che si può pensare al futuro. Con un’attenzione specifica ai giovani che vanno ascoltati, resi protagonisti e responsabili della salvaguardia e custodia della nostra terra. Iniziando dalla nostra città per ampliare l’orizzonte a tutta l’Italia e al mondo.
Taranto e la sua concattedrale saranno insomma laboratorio privilegiato di “lettura” della Laudato si’.