Violenze in carcere. Don Grimaldi: “Servono giustizia e misericordia”. Mattone: “Necessaria formazione adeguata”

Tutti sospesi i 52 agenti della Polizia penitenziaria coinvolti nella vicenda legata al carcere di Santa Maria Capua Vetere per cui la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha espresso ferma condanna per i gravi atti compiuti. Di quanto avvenuto nell'istituto del casertano parliamo con l'ispettore generale dei cappellani e con il portavoce della Comunità di Sant'Egidio di Napoli, volontario da molti anni a Poggioreale

(Foto: ANSA/SIR)

“Un’offesa e un oltraggio alla dignità della persona dei detenuti e anche a quella divisa che ogni donna e ogni uomo della Polizia penitenziaria deve portare con onore, per il difficile, fondamentale e delicato compito che è chiamato a svolgere”. Davanti ai video pubblicati di quanto accaduto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020 – fatti salvi gli ulteriori accertamenti dell’Autorità giudiziaria e tutte le garanzie per gli indagati –, la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha parlato di “un tradimento della Costituzione: l’art.27 esplicitamente richiama il ‘senso di umanità’, che deve connotare ogni momento di vita in ogni istituto penitenziario. Si tratta di un tradimento anche dell’alta funzione assegnata al Corpo di Polizia penitenziaria, sempre in prima fila nella fondamentale missione – svolta ogni giorno con dedizione da migliaia di agenti – di contribuire alla rieducazione del condannato”. Sulla vicenda abbiamo raccolto le parole di don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane, e Antonio Mattone, portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, da anni volontario nel carcere di Poggioreale.

“Le forti immagini diffuse sui social ci fanno molto riflettere e, allo stesso tempo, ci inducono a non puntare solo il dito di condanna verso coloro che hanno sbagliato e hanno offeso la dignità personale dei detenuti, ma anche a sottolineare la difficile missione che vivono ogni giorno i poliziotti penitenziari”, evidenzia don Raffaele Grimaldi, per il quale

“gestire criticità e sicurezza insieme non è facile,

ma certamente non si può assolutamente condividere la violenza gratuita verso persone indifese che già stanno pagando con una pena detentiva per i loro errori”. Secondo il sacerdote, “non possiamo neanche generalizzare mettendo in cattiva luce tutto il lavoro della Polizia penitenziaria che ogni giorno con sacrificio e grande professionalità svolge il proprio dovere”.

L’ispettore generale chiarisce: “Ci sono certamente mele marce da eliminare, coloro che fanno abuso di potere, che amano il protagonismo. Davanti a tutto questo quale deve essere la nostra risposta? Cosa fare? Quale direttive dare davanti alle emergenze di oggi e che sempre metteranno in discussione il sistema penitenziario? Non bisogna abbandonare a se stesso questo importante apparato dello Stato che nelle carceri svolge una difficile missione. Hanno bisogno di sostegno, di vicinanza, ma soprattutto di una formazione permanente e un confronto franco su come gestire le criticità, senza commettere illegalità rispettando le leggi”. Don Raffaele aggiunge: “Molti giovani poliziotti sono inesperti, non hanno molta conoscenza ed esperienza del sistema carcerario. Il sovraffollamento poi rende le nostre carceri ‘polveriere di rabbia’ difficili da gestire”.

Da don Grimaldi l’invito a

“riportare umanità e dignità nei nostri istituti. Tutti hanno diritto alla speranza.

Tutti hanno bisogno di vivere un vero riscatto sociale. Ripensiamo il carcere allora non come luogo di repressione ma luogo di riscatto, per aiutare i ristretti a vivere il cambiamento, favorendo il più possibile le misure alternative alla detenzione”. L’ispettore generale ricorda, inoltre, che “il servizio della Polizia penitenziaria non è basato sulla repressione o sul mettere a tacere il grido dei molti disperati, bensì è quello di educare alla libertà, incoraggiando i ristretti a ritrovare in loro, orizzonti di speranza, aiutandoli, con l’aiuto di tutti a ricostruire una vita nuova nella piena legalità”.

“Oggi vediamo una società che giustamente condanna queste violenze incomprensibili che si sono scatenate in alcune carceri e che hanno calpestato con la cruda violenza la dignità di molti uomini prigionieri”, prosegue il sacerdote. Ma, evidenzia don Raffaele, “la società, che oggi condanna queste violenze ingiuste, deve essere anche pronta e disponibile ad accogliere e a non scartare ed emarginare coloro che escono dal carcere e che hanno bisogno di essere reinseriti nella società e di una mano tesa ed amica.

Giustizia e misericordia devono camminare insieme”.

“Conosco bene alcuni degli indagati. Infatti, come Comunità di Sant’Egidio, abbiamo organizzato nell’Istituto dei pranzi di Natale e in quelle occasioni ho conosciuto comandante, ispettori, agenti. Mi sono apparse persone molto cortesi, cordiali, collaborative: eravamo seduti allo stesso tavolo con loro, insieme con qualche detenuto. Nulla lasciava presupporre che sarebbe avvenuto ad aprile 2020”, racconta Antonio Mattone. “Vorrei precisare – continua – che non è un fatto legato all’Istituto di Santa Maria Capua Vetere, ma è un problema culturale, di formazione e di mentalità di una parte del corpo della Polizia penitenziaria”. Ma agenti cortesi come si possono trasformare in violenti? “Il lavoro di Polizia penitenziaria è faticoso e stressante, ci possono essere frustrazioni, per questo diventa fondamentale una preparazione professionale adeguata che aiuta ad affrontare anche situazioni delicate. Da quello che si è appreso si è picchiato nel mucchio, persino persone sulla sedia a rotelle, insomma chiunque fosse capitato sotto tiro”. Per il portavoce della Comunità di Sant’Egidio di Napoli, “c’è un problema di riformare il sistema penitenziario, ma non è stato fatto perché

il carcere non interessa a nessuno, non porta vantaggi elettorali.

Così, se prima delle elezioni si parlava di approvare la riforma, come pensata dagli Stati generali, poi si è fatta marcia indietro”.

Mattone si dice colpito anche da un’altra cosa: “Nelle intercettazioni a Santa Maria Capua Vetere si parla del ‘sistema Poggioreale’ come metodo da usare verso i detenuti, ma proprio Poggioreale in questi anni ha vissuto un grande cambiamento, lo posso dire con sicurezza, visto che ci vado tutte le settimane: non c’è più quel clima di violenza, non ci sono ‘mazzate’”. Quello che è successo a Santa Maria Capua Vetere è legato all’emergenza Covid? “Direi di no, non ci sono stati chissà quali casi in quell’Istituto. A Poggioreale, invece, la situazione da questo punto di vista è stata durissima, eppure il corpo di Polizia penitenziaria si è comportato in maniera molto professionale e responsabile, senza reagire alle provocazioni”.

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