Sempre a fianco degli ultimi, gli “invisibili”, malgrado l’anno durissimo per il Covid-19, ma in affanno per continuare a svolgere questo accompagnamento. Così stanno vivendo le Caritas diocesane della Campania, tornata in zona rossa da lunedì 8 marzo. Di “massima allerta” parla il delegato regionale di Caritas Campania, Carlo Mele, direttore della Caritas diocesana di Avellino, nella “drammatica consapevolezza di chi è rimasto ‘l’ultimo baluardo’ al fianco ‘dei più poveri’”. Il delegato regionale spiega che ci sono “persone ospiti delle nostre strutture risultate positive che costringono alla quarantena i nostri servizi e gli operatori e i volontari impegnati”. Di qui la richiesta della Delegazione regionale della Caritas alle istituzioni, in particolare ai “vertici regionali”, di “un’attenzione privilegiata per le nostre strutture, per i poveri e per tutti gli operatori”. Abbiamo raccolto la testimonianza dello stesso Mele, di don Enzo Cozzolino e di suor Marisa Pitrella della Caritas di Napoli e di don Carmine Schiavone della Caritas di Aversa.
“In Campania i nostri dormitori, le nostre mense, i nostri centri di ascolto, anche durante il primo lockdown, non hanno mai chiuso – afferma Carlo Mele -. Lungo tutto l’anno abbiamo inventato formule diverse per non lasciare solo nessuno, malgrado le difficoltà, visto che abbiamo scelto di lasciare a casa i volontari anziani per tutelarli. Con i pochi volontari e qualche operatore disponibile abbiamo sempre accolto il grido di aiuto che ci veniva dalle persone che bussavano alle nostre porte”. Già l’anno scorso la Delegazione campana ha scritto una lettera al presidente della Regione, Vincenzo De Luca, “chiedendo maggiore attenzione agli ultimi perché in tutte le normative e nei sostegni di emergenza si parlava di tutti ma non degli ‘invisibili’. Ora lanciamo un nuovo appello alle istituzioni perché nelle vaccinazioni si sono considerate diverse categorie da privilegiare, come sanitari, anziani, persone fragili, personale scolastico, ma mancano sempre loro: gli ultimi. Chi più chi meno, i nostri dormitori, soprattutto nell’attuale fase della pandemia, con le varianti molto contagiose, sono andati in quarantena perché c’è stato qualche positivo. È successo anche che il direttore di qualche Caritas si è dovuto blindare nella struttura”.
Mele racconta anche la sua esperienza come direttore della Caritas di Avellino: “Anche qui siamo stati fermi per venti giorni e abbiamo dovuto chiedere agli ospiti del dormitorio, che ha 19 posti, di autogestirsi per la cura delle loro stanze e la cucina, invitandoli a non uscire. Quando abbiamo dovuto chiudere la mensa con servizio ai tavoli, gli stessi ospiti del dormitorio hanno cucinato e preparato i sacchetti da asporto assicurando 80/90 pasti al giorno. Prima dell’emergenza, la nostra mensa era da 150 posti”.
Anche per i centri di ascolto “ci siamo attrezzati con un servizio telefonico h24”. Ora “chiediamo di mettere in programma anche le vaccinazioni dei nostri ospiti senza fissa dimora e dei volontari. Non possiamo fermarci”. Il delegato regionale annuncia: “L’assessore alle Politiche sociali della Regione Campania, Lucia Fortini, ha accolto il nostro appello, facendo richiesta all’unità di crisi di vaccinare i nostri ospiti e i volontari, ora attendiamo sviluppi.
La difficoltà maggiore, comunque, è per chi è senza documenti”.
“A Napoli c’è tanta generosità e un bel da fare da parte di tutte le forze di buona volontà, associazionismo, volontariato, Chiesa e non profit, ma anche tanta povertà. Licenziamenti, sfratti e assenza di pane dalle tavole sono i drammi più seri in una città già complessa”, sottolinea don Enzo Cozzolino, direttore della Caritas diocesana partenopea.
“Ora è urgente vaccinare i nostri fratelli senza dimora che sono nelle strutture, come pure offrire una vicinanza per le famiglie che hanno una difficoltà.
Il welfare è affidato allo Stato, noi siamo sussidiari come Chiesa”, evidenzia don Enzo, che ricorda come, nelle 21 mense afferenti al coordinamento della Caritas diocesana di Napoli, “si distribuiscano da un minimo di 1.500 a un massimo di 3mila pasti al giorno, senza contare le tante famiglie che vengono ‘sfamate’ dal Cair, il Comitato assistenza istituti religiosi, il Banco alimentare diocesano. Sono accolte, inoltre, da un minimo di 500 a un massimo di 800 persone senza dimora nelle strutture afferenti alla Caritas, alla Chiesa in generale, alle comunità religiose”. Poi un invito “a stringere i denti”: “La Pasqua ci porterà una luce nuova, non solo dal punto di vista spirituale, ma anche nei nostri cuori, usciremo da questo tunnel”.
Suor Marisa Pitrella delle Figlie della carità è la responsabile della casa famiglia “Sisto Riario Sforza” che accoglie persone con Hiv/Aids. “Ci siamo noi tre suore, tutte infermiere, e ospitiamo sette persone, tutte immigrate, dai 33 ai 65 anni, estremamente a rischio per il Covid. Per questo, abbiamo ridotto le presenze di volontari nella casa anche se abbiamo continuato le attività. Noi collaboriamo con il Cutugno per i nostri ospiti, che sono seguiti sia a domicilio sia in day hospital. Una parte di loro è stata inserita in piattaforma per i vaccini come persone fragili”. Nella casa famiglia non si sono registrati casi di contagio: “Solo due strutture nella diocesi di Napoli sono rimaste chiuse per due giorni per una persona positiva al Covid-19 e dopo sanificazione e tamponi con esito negativo sono state riaperte”. La religiosa nota come “oggi sia un periodo più faticoso di un anno fa: la gente viene a bussare continuamente, in tanti hanno perso il lavoro, è molto pesante anche il ritorno alla Dad e sono tanti i disagi psicologici. Riceviamo molte telefonate di persone che si sentono sole a cui offriamo una compagnia telefonica”. Ma, “malgrado l’aumento dei casi,
la Caritas non ha mai indietreggiato, non ha mai avuto paura di aprire la casa per accogliere senzatetto, di andare alla Stazione centrale per portare un pasto caldo ai fratelli che vivono lì.
Napoli ha una fantasia della carità. Un’iniziativa che è andata molto bene è la Spesa sospesa. C’è stata una gara di solidarietà”.
Nel centro storico di Aversa, in un palazzo del Settecento riqualificato, c’è la sede operativa della Caritas diocesana con centro di ascolto, ambulatorio, casa di accoglienza per senza dimora e mensa dove si preparano ogni giorno 180 pranzi da asporto. Vivono stabilmente nella casa di accoglienza don Carmine Schiavone, da dieci anni direttore della Caritas diocesana di Aversa, e tre suore Figlie di Maria Evangelizzatrice, che vengono dal Kenya; poi ci sono operatori e volontari. “Abbiamo aperto il pernottamento anche all’esperienza di volontariato: abbiamo cento posti letto, ne occupiamo 30 per i senza fissa dimora, restano circa sessanta posti liberi, dove i giovani possono vivere l’esperienza di condivisione – racconta don Carmine -. Durante l’anno accogliamo 500 senza fissa dimora, che sono divisi in due fasce: coloro che scelgono un cammino di recupero restano qui stabilmente, dove seguono laboratori durante la giornata; altri, invece, magari già lavorano fuori, vengono a dormire. Al primo ingresso si offre da dormire e da mangiare e durante il giorno si sta fuori, poi dipende dal percorso individuale che si vuole intraprendere. Quando è possibile si cerca di dialogare con la famiglia. Non si accoglie più solo il senza fissa dimora, ma tutto il contesto da cui proviene”.
Con l’emergenza Covid, “ancora una volta la Caritas ha offerto una risposta immediata a ogni falla e ai tanti problemi del territorio. Aversa è una diocesi di 600mila abitanti, un territorio come un fazzoletto, ma con un numero alto di abitanti; è la terra di don Peppe Diana, quindi una terra di camorra; è la Terra dei fuochi. Proprio per il nostro ruolo accanto agli ultimi non sarebbe stato anche il caso di contemplare di vaccinare i volontari e gli operatori, oltre che i senza fissa dimora che arrivano qui? In questo siamo letteralmente tagliati fuori e lasciati soli”.
“Quando, meno di un mese fa, abbiamo avuto un caso di positività tra i nostri ospiti – prosegue don Schiavone – abbiamo dovuto sospendere tutte le nostre attività, essendo tutto in un’unica struttura. Abbiamo blindato la struttura, sanificato gli ambienti, fatto settanta tamponi per noi, gli ospiti e i volontari. L’assurdo è stato che le amministrazioni locali, preoccupate dalla possibile reazione della gente che veniva a ritirare il pasto caldo da asporto ogni giorno, ci hanno chiesto di poter continuare a cucinare all’interno, malgrado il blocco, e ingaggiando la Croce rossa per la distribuzione in un altro luogo”. Per don Carmine,
“da troppe parti c’è un assurdo silenzio, c’è indifferenza, ma, malgrado ciò, la Caritas ancora ha le porte aperte e continua a lavorare in un momento così drammatico”.
Il sacerdote conclude: “Questa è la sfida più grande, abbiamo gente di buona volontà, mamme e papà, persone impegnate in incarichi importanti come volontari, noi ci siamo sempre ma non riceviamo la giusta considerazione”.