“Dormire in strada è dura, specie d’inverno. C’è il freddo, i rumori, non dormi tranquillo perché hai sempre un occhio aperto. La mattina, quando ti svegli, ti senti sporco, non ti puoi cambiare, nemmeno lavarti la faccia. Qui, invece, è diverso ed è anche meglio dei dormitori perché non c’è confusione. La notte passa tranquilla e prima di uscire puoi lavarti, farti una bella doccia, tagliarti la barba. Quando esci ti senti un uomo”. Non servirebbero altre parole, oltre a quelle di Mohamed (nome di fantasia), per capire quanto l’opportunità di accoglienza diffusa nelle parrocchie promossa a Como, per il periodo invernale, dalla Caritas diocesana possa fare la differenza. Questa iniziativa, nata in via sperimentale un anno fa, con una prima accoglienza di quattro persone nella parrocchia di Sant’Agata, è stata rilanciata nel dicembre 2020 con il coinvolgimento di altre due parrocchie e un istituto religioso per un totale di dieci persone accolte.
“Il nostro obiettivo era ed è quello di realizzare un’accoglienza diffusa e leggera sul territorio, per ospitare alcune persone senzatetto in un’ottica di complementarietà rispetto ai due dormitori temporanei attivi in città con una capienza complessiva di circa 60 persone” racconta Beppe Menafra, responsabile di “Porta Aperta”, il servizio della Fondazione Caritas che si occupa di ascolto e orientamento ai servizi per i senza dimora presenti in città. “Alla comunità – spiega l’operatore – viene chiesto davvero il minimo indispensabile: un letto caldo per la notte e una doccia. Il resto dei servizi come mensa, vestiario, ambulatorio medico, continuano ad essere garantiti a livello territoriale”.
Prima di ogni ingresso Caritas, ospite e parrocchia siglano un “patto” scritto di accoglienza con le modalità da seguire all’interno dello spazio concesso per l’ospitalità, compreso il rispetto delle normative sanitarie in atto per l’emergenza Covid. “Questo ruolo di garanzia è molto importante – precisa Menafra -: siamo noi operatori a conoscere le persone e a scegliere per ogni contesto chi ci sembra più adatto, così da evitare problemi e fatiche a chi accoglie. In ogni caso, se l’ospite non dovesse attenersi alle regole, sarà Caritas a farsi carico della mediazione fino ad arrivare all’allontanamento dalla struttura”.
A Sagnino, periferia di Como, ad un passo dalla Svizzera, dal primo dicembre scorso sono accolti due uomini di origine marocchina in Italia da molti anni. Per loro è stata ricavata una piccola stanza all’interno dei locali dell’oratorio, vuoti a causa della pandemia, con un bagno dedicato e una stanza refettorio dove poter far colazione. È qui che incontriamo Mohamed e chi si occupa dell’accoglienza.
“L’impegno che ci viene richiesto – racconta Angelo Papadia, uno dei venti volontari della comunità pastorale di Sagnino, Monte Olimpino e Ponte Chiasso coinvolti nel progetto – è veramente minimo. Si tratta di venire un’ora, una o due volte alla settimana, per l’accoglienza serale o la colazione. Non è richiesta una presenza durante la notte. Una volta controllata la temperatura semplicemente si chiacchiera, tra volontari e con i due ospiti che, devo dirlo, sono persone davvero squisite”.
Ci si ritrova così a confrontarsi sulla giornata trascorsa e sul futuro. Chiacchiere che riempiono i minuti che passiamo a Sagnino.
“È bello stare qui – prosegue Mohamed – perché ci si sente accolti. In centro città, quando ci sono i grandi numeri spesso si viene visti in maniera diversa, a volta anche con sospetto. Qui è diverso, le persone sono più accoglienti. La mattina ci portano la colazione, qualcuno anche dei vestiti e stanno nascendo delle relazioni”.
Ed è proprio questo l’aspetto più importante, anche per i volontari. “Gli ospiti ci hanno detto che qui si sentono come in famiglia – afferma Enzo Vozzo, parrocchiano di Sagnino -, ma anche noi stiamo ricevendo molto dal rapporto con loro e tra noi. Ho conosciuto persone della parrocchia che prima non conoscevo e il gruppo dei volontari continua a crescere. Queste relazioni sono forse la cosa più importante che mi sta lasciando il progetto Betlemme”.
Nell’idea degli operatori Caritas l’accoglienza si concluderà alla fine di aprile, parallelamente alla chiusura dei dormitori temporanei, ma non è detto che questi mesi di “tranquillità” non possano servire alle persone senza dimora per riprendere in mano il filo della propria vita ed avviare percorsi nuovi, magari con il sostegno delle stesse parrocchie che li hanno ospitati.
“Il Progetto Betlemme – conclude Beppe Menafra – si sta allargando e ne siamo felici. Ora l’intento è di sensibilizzare tutte le comunità parrocchiali della città e zone limitrofe per “replicare” questa bella iniziativa di accoglienza. Perché insieme si può fare”.