Sfogliando le pagine del nostro settimanale andato in stampa lo scorso anno ci immergiamo in un film che non avevamo visto. Una storia che ci ha fatti narratori ma anche co-protagonisti di eventi inaspettati, tragici, che hanno bloccato e rischiano ancora di bloccare il nostro futuro.
Raccontando la cronaca della pandemia, abbiamo scritto pagine di storie fatte di volti, di insuccessi, di atti di eroismo e solidarietà. Fotogrammi e scatti tra speranza e smarrimento, potrebbe essere il titolo di un viaggio a ritroso, di soli dodici mesi, che ha toccato anche la nostra terra, con quel provvidenziale ritardo che forse è stato, almeno all’inizio, il pungolo della prudenza per i cittadini, per la presa di coscienza che stava accadendo qualcosa di grave nel mondo, anche nella nostra Italia. Poi, anche qui, lo tsnunami, preceduto dalla chiusura forzata che ci ha in parte tutelati non solo dal virus, ma anche da dover ricorrere da una sanità gravemente malata, a strutture istituzionali corrose dal malaffare, dall’inefficienza e dal fatalismo.
Non ci siamo dati per vinti e, con ovvie e maggiori difficoltà, la redazione del settimanale dopo il primo scossone ha iniziato un lungo lavoro di narrazione di silenzi irreali, di una crescente povertà, dell’innegabile ruolo delle Chiese locali (diocesi e parrocchie), del volontariato, ma anche degli atti coraggiosi di uomini e donne che hanno cominciato una battaglia con armi spuntate.
Il divario tra nord e sud ha richiesto, e richiede ancora, di combattere la pandemia su più fronti e con più forza per le debolezze della socialità, della politica, del sistema sanitario.
Abbiamo dato voce agli appelli, quasi all’urlo, di una terra bella ed amara che, come animale ferito voleva reagire; abbiamo raccontato storie bellissime di impegno, di protagonismo e di eccellenze che danno speranza, che ci hanno fatto dire che non è tutto tenebra, che non è tutto finito. E poi l’impegno della Chiesa locale a supplire al digiuno eucaristico, alla chiusura delle nostre chiese, con una bella collaborazione con le emittenti locali che ha dato vita a nuove realtà.
Le risorse migliori si sono messe in gioco, anche le diocesi hanno fatto la loro parte in Calabria, sostenendo finanche le strutture sanitarie pubbliche con segni concreti e consistenti, perché in Calabria non è più tempo di parlare. Siamo andati a vedere gli ospedali da dentro, abbiamo sentito il racconto di chi ha combattuto il virus ed ha vinto, ci siamo anche indignati per i ritardi, e con fantasia ci siamo reinventati attraverso i social e le pagine estive, per coinvolgere l’associazionismo cattolico e raggiungere i giovani lettori fino a realizzare i campi estivi e il Grest virtuale.
La disoccupazione è raddoppiata, tante piccole aziende hanno chiuso, le famiglie annaspano; la Caritas e quelle parrocchiale hanno raddoppiato la potenza di fuoco e se è vero che è aumentata la povertà, è anche vero si è triplicata la solidarietà. I capitoli di bilancio di molte parrocchie si sono trasformati. In campo sono scesi tanti cittadini che hanno dato fiducia alle comunità ecclesiali e al volontariato, per sostenere “il fratello della porta accanto”, per attivare iniziative e riconquistare il territorio, quartiere dopo quartiere, paese dopo paese. Forse la paura di non farcela ha sostenuto la prudenza. Numeri di morti più bassi ma non per questo meno dolorosi, mentre il virus continuava il suo silenzioso lavoro, anche sotto la cenere della tranquillità apparentemente ritrovata in estate. E poi è riesploso con tutto la sua violenza, è la storia di questi ultimi mesi e sono aumentati, di colpo, i contagiati. Insieme a loro anche alcuni sacerdoti sono stati toccati dal Covid, due di loro non ce l’hanno fatta. La nostra famiglia di Parola di Vita è stata lambita dal virus, due dei nostri giovani l’hanno contratto ma alla fine ne sono usciti arricchendo tutti noi con la loro testimonianza e la loro tenacia.Siamo ancora sulla breccia, per raccontare ora la lenta ma progressiva vaccinazione in una terra dove i sindaci sono lasciati soli, dove si devono aprire anche le chiese perché non ci sono strutture idonee per la somministrazione, dove l’esercito ha riconvertito l’ospedale da campo di Cosenza perché la rete territoriale fatica ad organizzarsi, annaspa, è confusa.
La paura è tanta, soprattutto al tintinnio mesto delle campane, alla notizia di un nuovo focolaio, perché, dopo un anno ancora siamo poco organizzati e le reti sociali sono “sfilacciate” e ora i reparti e le terapie sono quasi al completo.
*Direttore di “Parola di Vita”