La richiesta di inserire l’intero sistema dei Nuraghi sardi nella lista del patrimonio culturale dell’umanità dell’Unesco riporta all’attenzione mediatica uno dei patrimoni archeologici più estesi al mondo: 24mila chilometri quadrati, 7000 ancora in piedi, un sistema costruito dall’uomo unico nel suo genere, anche perché non ne esistono in altre zone del mondo. E la vastità della loro estensione e dei misteri che ancora li circondano può essere paragonata solo all’Egitto faraonico. Ne parliamo con Michele Cossa, presidente dell’associazione “La Sardegna verso l’Unesco”.
Il Centro di ricerca, sviluppo e studi superiori (Crs4), il Dass (Distretto aerospaziale della Sardegna) e l’associazione La Sardegna verso l’Unesco hanno contribuito a creare una mappatura dettagliata del patrimonio nuragico anche grazie all’uso di tecnologie d’avanguardia. L’eventuale accettazione della richiesta avrebbe un reale impatto sul versante turistico e sull’immagine stessa dell’isola?
Nell’immaginario la Sardegna si identifica come la terra delle vacanze. Il nostro progetto mira a far conoscere al mondo un’altra dimensione della nostra Isola, poco conosciuta ma straordinaria: una civiltà con caratteristiche uniche, che è stata capace di realizzare opere come i nuraghi che nell’arco di circa seicento anni si sono diffusi in tutto il territorio. La Sardegna non è mai stata una tappa del turismo culturale, ed è un vero peccato: molti autorevoli studiosi (soprattutto archeologi) hanno dedicato la loro vita a studiare una civiltà che, col suo fascino e l’alone di mistero che la circonda, può diventare anche un potente attrattore turistico lungo tutto l’arco dell’anno.
Il complesso archeologico di Su Nuraxi a Barumini è già incluso nella prestigiosa lista. Non teme che la risposta potrebbe essere “lo avete già un riconoscimento Unesco”?
Barumini ha fatto in questi anni da battistrada, ed è la dimostrazione che esistono tantissime persone disponibili a venire in Sardegna per fruire di questo prezioso patrimonio. Il progetto di inserire l’intero patrimonio monumentale nuragico nella lista del Patrimonio dell’Umanità può essere visto come un ampliamento, un completamento di quanto è stato fatto per la reggia nuragica di Barumini.
I nuraghi hanno sempre affascinato gli archeologi e colpito l’immaginario collettivo: perché esistono solo in Sardegna e non in altre zone mediterranee? Tra l’altro, c’è ancora un mistero sulla loro funzione: oggi, anche grazie ai progressi della cyber-archeologia siamo riusciti a sapere se il loro scopo era difensivo, religioso, sepolcrale, civile, o tutte queste cose insieme?
Il nuraghe rappresenta un unicum a livello planetario. Esistono altri monumenti, in area mediterranea, che sembrano far parte della stessa matrice culturale e che solo apparentemente ricordano i nuraghi, come i Talaiot delle Baleari, le Torri della Corsica e i Sesi di Pantelleria. Ma per numero, dimensione e caratteristiche costruttive sono assolutamente sovrastati dalla magnificenza delle strutture nuragiche, la cui altezza superava a volte i 25 metri, e presentavano soluzioni architettoniche sorprendenti. La diffusione dei nuraghi lungo l’intero territorio della Sardegna, spesso con annesse strutture megalitiche, come le tombe di giganti e i pozzi e fonti sacre, fa presumere che la Sardegna detenesse una capacità edificatoria che le altre isole mediterranee non riuscirono mai ad eguagliare. Circa la loro funzione il dibattito è ancora aperto. Secondo alcuni studiosi i nuraghi complessi, veri e propri castelli, svolgevano compiti di difesa, mentre secondo altri il ruolo predominante era quello sacrale, come centro di aggregazione dei vari clan circostanti. La “concentrazione nuragica” lungo le coste e in corrispondenza dei corsi d’acqua, fa presumere che uno degli usi predominanti fosse quello di vigilanza sugli approdi e di presidio per il traffico commerciale di minerali e ai metalli (piombo, argento, rame…) di cui l’isola era particolarmente ricca.
Si sta pensando ad una azione non solo di restauro ma anche di fruizione intelligente (guide, depliant, luoghi di informazione, ecc) per un sistema così vasto territorialmente?
La collaborazione con il Crs4, il Distretto aerospaziale della Sardegna e la facoltà di ingegneria dell’Università di Cagliari aprono prospettive di grandissimo interesse grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla salvaguardia, al recupero, al mantenimento in sicurezza e alla fruizione di questi siti. Pensiamo all’uso dei droni, alla realtà aumentata, alla geolocalizzazione (peraltro già applicata con efficacia ai siti nuragici), alle mille cose che oggi è possibile fare.
Il nuraghe è anche un elemento di forte identità regionale. Le forze politiche e gli amministratori si sono dimostrati attenti e una volta tanto uniti in questo vostro sforzo di visibilità internazionale?
Su questo tema abbiamo trovato il pieno appoggio di tutta la politica: il Consiglio regionale si è espresso all’unanimità, la stragrande maggioranza dei comuni sardi ha approvato mozioni di appoggio all’iniziativa, la giunta regionale ha adottato una delibera specifica in tal senso. Poche volte in Sardegna si è riusciti a realizzare una tale unità di intenti.