Dare una seconda possibilità a chi, in passato, ha sbagliato ma in carcere ha intrapreso un cammino di riscatto, superando la tentazione della stigmatizzazione di chi ha commesso un errore. Tante volte, usciti dal carcere, i detenuti hanno difficoltà ad avere una possibilità di lavorare per ottenere un sostentamento dignitoso, trovandosi così nuovamente esposti ai pericoli che accompagnano la mancanza di opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza. Tanti i richiami di Papa Francesco a non considerare i detenuti uno scarto. Un appello che la diocesi di Napoli ha raccolto con l’apertura della pizzeria “Brigata Caterina” nel carcere di Poggioreale.
Il 14 luglio, all’interno della Casa circondariale “Giuseppe Salvia Poggioreale” di Napoli è stata inaugurata la pizzeria “Brigata Caterina”, un’iniziativa, nata dalla collaborazione tra il Ministero della Giustizia e la diocesi di Napoli. Il progetto sperimentale, finanziato dalla Cassa delle Ammende e coordinato da Antonio Mattone, direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Napoli, oltre a dare la possibilità ai detenuti e al personale del penitenziario di poter acquistare la pizza, ha lo scopo di
formare e avviare al lavoro quei reclusi che vogliono rimettersi in gioco e fare altre scelte di vita.
In particolare, con la realizzazione di un laboratorio artigianale di pizzeria e friggitoria, dentro il carcere di Poggioreale, si intende promuovere la formazione delle figure professionali connesse a questi mestieri e consentire qualificazione professionale e avviamento al placement. Ad oggi sono già state sfornate oltre tremila pizze: i detenuti e il personale possono ordinare la marinara, la margherita e la “Caterina”, una pizza che cambia ogni mese secondi i prodotti di stagione.
L’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi Napoli, per rendere maggiormente concreta ed ancorata alla realtà la prospettiva progettuale di professionalizzazione esterna e di qualificata proiezione di occupabilità, si è fatto carico di creare una rete di attori istituzionali con cui sono stati realizzati dei protocolli d’intesa.
A tale scopo, sono stati coinvolti l’Università degli studi di Napoli Federico II, l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa e l’Ufficio interdistrettuale esecuzione penale esterna per la Campania (Uiepe), per le problematiche della selezione e per la verifica dei contesti familiari dei ristretti da avviare alla selezione. Le Associazioni dei pizzaioli napoletani, per favorire la collocabilità dei detenuti, formati presso i loro associati, e il tutoraggio in una prospettiva di lavoro autonomo. La Regione Campania per il finanziamento del placement e della formazione, quest’ultima a partire dalla seconda annualità della progettazione. Ogni anno 15 detenuti potranno ottenere il titolo di pizzaiolo.
Una seconda fase del progetto prevede la realizzazione di una pizzeria esterna al carcere
in un locale non più adibito al culto nel centro storico cittadino messo a disposizione gratuitamente dalla Chiesa di Napoli, per garantire un percorso di professionalizzazione esterna che avvia e favorisce il percorso di inserimento lavorativo definitivo dei detenuti inseriti nel progetto. Tale locale era una volta la chiesa di Santa Caterina al pallonetto di Santa Chiara, da cui il nome “Brigata Caterina”. La fase di formazione prenderà l’avvio il prossimo settembre.
“È un progetto sperimentale che dà una speranza concreta a chi ha commesso degli errori ma che adesso vuole rimettersi in gioco e cambiare vita, perché qui non si tratta solo di dare il titolo di pizzaioli ma anche di accompagnare alla ricerca del lavoro le persone coinvolte. Anche chi vuole mettersi in proprio e creare una propria pizzeria o un take-away oltre a saper fare le pizze dovrà imparare anche a gestire un’attività e verrà accompagnato in questo percorso”, afferma Antonio Mattone, direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi Napoli, fin da giovane impegnato nella Comunità di Sant’Egidio e con una grande esperienza di volontariato nel carcere di Poggioreale. “Mettere insieme nella nostra città tanti attori istituzionali e associativi è stata una cosa non facile, una vera e propria impresa – ammette Mattone -, ma anche questo è un segno di speranza perché è la dimostrazione che si può collaborare insieme per migliorare la vita di chi è rimasto indietro. Ciò, nello stesso tempo, rende migliore un po’ tutto il nostro territorio”.
Il direttore dell’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro della diocesi Napoli fa notare: “In un tempo in cui i carcerati sono considerati gente da evitare, da chiudere dentro una cella e addirittura c’è ancora chi invoca i lavori forzati, la Chiesa di Napoli ha voluto invece fare propria la preoccupazione di Papa Francesco che ha invitato più volte a non considerare i detenuti come scarto, incoraggiandoli a tenere sempre accesa la luce della speranza e a cercare di rialzarsi quando si cade”. Mattone conclude, rivelando un particolare: “L’idea del progetto nacque proprio a ridosso della visita del Papa nel carcere di Poggioreale. E mai niente avviene per caso”.
Di “occasione eccezionale” per “il significato dell’iniziativa” parla il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, che evidenzia come il progetto possa diventare un esempio anche per altre carceri “perché significa che quando c’è buona volontà si possono realizzare dei progetti che valorizzino le capacità di questi nostri fratelli, che sono reclusi ma che sono anche chiamati a quella responsabilità che fa parte della dignità di ogni uomo”.